mercoledì 13 giugno 2012

Il peso della Farfalla di Erri De Luca

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Lavoro di analisi effettuato coralmente con il gruppo discenti Upter nel corso delle lezioni AA 2011-2012



Donatella Steck
Dottore in Psicologia Clinica-Psicoterapeuta
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Lezione 13 febbraio 2012

Suggerisco di leggere questo libro, oltre per il simbolismo che affiora con la leggerezza di una farfalla, principalmente per la “metrica” con cui è scritto che assorbe senza che ci si renda conto del tempo, e per la profondità dei ragionamenti che l'autore fa, tra sé e sé. "rivelando verità innegabili sul senso della vita, in generale e in particolare, come si 'incrocia' con l'individuo". (Vittoria).
E' come vedere un film più che leggere il libro. Le immagini si affacciano potenti e incisive.
Il tema che ritorna è quello della solitudine: del camoscio e dell'uomo, due vite che si intrecciano fino al compiersi di un destino naturale.
L'autore è un uomo che ama e conosce molto bene la montagna. E' un alpinista assuefatto agli odori, ai colori, ai pericoli e alla perfetta armonia della montagna.
De Luca ha scritto pagine che invitano a meditare, a riflettere, che sembrano giungere da una storia vera: quella di Franco Miotto.
Chiamato il "re dei viaz" (i viaz sono i sentieri aerei sulle montagne bellunesi, sembra che soltanto Miotto e i camosci conoscono molto bene), Franco Miotto è un uomo che quando abbatté il più bel camoscio che mai avesse visto prima, un re delle alte vette bellunesi, comprese la parte più triste del vivere: niente resta come prima dopo aver realizzato un sogno.
Una scrittrice, Luisa Mandrino in "La forza della natura ", 2002, aveva descritto e raccontato in stile romanzesco, la vita di Franco Miotto.
Questi era il re della caccia, ma di punto in bianco decise di lasciarla; si capisce che la decisione è la conseguenza della morte che lui aveva dato al più bell'esemplare di camoscio mai incontrato nella sua lunga storia di cacciatore.
"Fu un tuffo al cuore, forte e disperato e quel colpo appena sparato perse il suo valore e la sua precisione e sembrò all'improvviso, odioso e tirato a caso, Franco sentì di essere fuori posto, come se si fosse impadronito di un sogno altrui. Tutto quel che non aveva mai visto fu chiaro in quel momento." (Luisa Mandrino, ibidem).
Così, anche per il cacciatore di De Luca: "Niente aveva capito di quel presente che era già perduto. In quel punto finì anche per lui la caccia, non avrebbe sparato ad altre bestie. Il presente è la sola conoscenza che serve. L'uomo non ci sa  stare nel presente".
Nel suo racconto De Luca ci offre l’occasione di apprendere la lingua del camoscio e della natura circostante, della montagna, del bosco di larici, delle lotte per la sopravvivenza, di un mondo troppo in anticipo dimenticato dalla ragione calcolante che usa strategie e tattiche.
Il re dei camosci si muove fiutando l’aria, riconoscendo in anticipo rispetto all’animale uomo, gli odori che si imprimono in lui, marchi di riconoscimento del pericolo, dell’allerta.
Si sposta negli anfratti della montagna, impennato sui pendii vertiginosi o improvvisamente sospeso nell’atto di un salto sul picco di una roccia inaccessibile  all’altro, che impropriamente condivide il titolo:  il cacciatore re dei camosci.
Il camoscio è forte, potente, si muove sfruttando la forza del vento di montagna, si aggira sugli alti pianori, schizza su strapiombi,  si dilegua, osserva saldato sullo sbalzo di uno spuntone di roccia, i pratoni sotto di lui dove le femmine e i piccoli nati a primavera, e i giovani maschi – uno di loro lo spodesterà – sono al pascolo.
Molto volentieri sosta lontano, non lo vedi, si nasconde alla vista, rimane immobile poi scompare dentro l’entrata di una caverna, luogo inaccessibile all’uomo.
Il bracconiere e la sua cecità. Anche lui come il camoscio ha fondato la sua esistenza sulla forza, sulla potenza e sulla sua abilità nello scalare la montagna, nel coprire il suo odore (le tracce dell’uomo), nel sapere attendere. Contrariamente all’animale egli è svantaggiato perché la montagna non è il suo habitat naturale e la sua sopravvivenza dipende dall’abilità nell’attuare strategie e tattiche.
L’uomo e l’animale si fiutano, si conoscono e ri-conoscono,  al loro modo si rispettano, si scrutano rimanendo a distanza fino a quel giorno di novembre in cui  l’ultimo duello li inchioderà saldando i corpi in un abbraccio finale e sotto lo sguardo immobile della montagna testimone della conclusione di due destini diversi eppure uguali.
E’ il compiersi di un destino naturale: si chiude, al ritmo della natura, un ciclo.
E poi il tempo. La ciclicità. Il ritmo. La comparsa rapsodica (non solo nell’accezione di poetica, anche nel significato di irregolare, discontinuo, come il volo della farfalla) di una farfalla.
Nel racconto, come nel sogno, la ricca simbologia ci aiuta ad abbattere le barriere del pensiero geometrico, del bisogno e dell’esistenza perentori del fatto, dell’esistenza di un soggetto e di un oggetto, di un linguaggio soverchiante e ridondante.
La natura è il dominio della libera manifestazione della relazione, non simmetrica, non lineare, non circolare.
La natura è la dimensione in cui trova libertà di apparizione e di espressione il miracolo della vita.
Dr.ssa Donatella Steck
 Lezione del 20 febbraio 2012
 Sin dalle prime battute del racconto, ci troviamo di fronte ad alcune pennellate stilistiche che richiamano immagini potenti alla nostra mente. E’ come venire trasportati in un’epoca antica eppure presente in quanto sembra essersi iscritta nel nostro DNA.
Come in un teatro antico, seduti nella cavea  assistiamo allo svolgersi di un dramma.
Tutto intorno, a cielo aperto, la Natura, con la flora e la fauna, "è il Coro privilegiato messo a nostra disposizione".(Pietro)
Immersi nel racconto diventiamo un tutt’uno col paesaggio  e l’atmosfera emotiva.
Strano a dirsi ma ci schieriamo dalla parte del camoscio e del suo ambiente, proviamo una "sensazione di fastidiosa irritazione nei confronti del bracconiere" (Anna), esultiamo quando l’astuzia dell’animale la fa in barba al’uomo, proviamo sofferenza quando la pallottola del fucile uccide la madre dei camosci ancora cuccioli, lasciandoli privi di sostegno, protezione, nutrimento, regole.
La Sensazione, facoltà essenziale per conoscere la realtà esterna ed interna non è solo legata a connessioni nervose, sinapsi, dendriti, è anche frutto di esperienza e di apprendimento.
Ciò vale per tutti gli esseri viventi.
Il primo contatto-esperienza che il camoscio ha dell’uomo si lega all’Odorato; le sue giovani narici si impregnano dell’odore pungente ed acre della polvere da sparo e di quello dell’uomo: prima traccia di un corpo estraneo che entra nella sua esistenza e resterà indelebile.
I cuccioli d’uomo non sono dissimili. Gli organi di senso e il loro funzionamento servono a fare sì che l’informazione proveniente dall’esterno si traduca in conoscenza della realtà e, in caso di pericolo, ad attivare opportuni meccanismi di difesa .
Essi sono la nostra stessa esistenza e rimarranno (salvo eventuali patologie) attivi per tutto l’arco della nostra vita. Sono connessi alla vita istintuale primaria, in ciò identici a tutti gli animali (inferiori e superiori), ma l’uomo, avendo sviluppato il pensiero razionalizzante se ne discosta perdendo contatto con una fonte originaria di informazioni il che corrisponde a malattie esistenziali, insoddisfazioni, nevrosi.
I cinque sensi ci sono noti: olfatto, vista, tatto, udito, gusto, più propriamente sono definiti esterni; quanto percepiamo dell’esterno ha risonanza interna non solo corporea, è ciò che di solito ci spinge a parlare di “vissuto” interno. I sensi ci mettono in contatto con il mondo e a comportarci di conseguenza. I cinque sensi sono il nostro presente,  collegati ad organi corporei, sono il radar che ci guida a muoverci nel mondo, sono il filo conduttore che mette in relazione corpo umano e apparato psichico, il simbolismo è particolare e riflette ciò che noi siamo, mettono a nudo le nostre imperfezioni, cioè la nostra essenza psichica con i suoi difetti.
Il camoscio, così come tutto il mondo circostante, è al riparo nel suo “guscio” protetto della sua istintività.
I sensi sono la testimonianza della nostra natura animale:
Il naso (olfatto) serve per “fiutare l’aria”, “fiutare un pericolo”, un modo per “odorare” la realtà, per riconoscere un amico da un nemico; è l’odore della madre che indirizza il bambino ad avvicinarsi al suo (non un altro) capezzolo per succhiare il latte. Sono gli stimoli olfattivi che guidano l’animale a ispezionare la realtà circostante, odori che noi uomini non riusciamo a cogliere.
Gli occhi (vista) per “guardarsi intorno”, osservare l’ambiente circostante e “coglierne anomalie”, un “movimento insolito”, distinguere la luce dal buio, danno nascita al mondo, questo, infatti, diventa percettibile, diventa realtà. Alcuni animali, contrariamente all’uomo, riescono a vedere raggi ultravioletti.
Le orecchie (udito), sono fondamentali, ma diversamente dagli animali noi non riusciamo a sentire tutti i suoni possibili, per esempio, quelli troppo acuti, gli ultrasuoni; anche l’udito è un modo di “vedere” la realtà, basti pensare ai pipistrelli.
La bocca (con la lingua e le papille gustative- gusto), “assaporare” la realtà, “riconoscere”  il dolce, il salato, l’amaro, l’acidulo. Su questa base ogni essere vivente è in grado di valutare e riconoscere, apprezzare, la gamma di diversi sapori.
La pelle (tatto) è una vasta superficie del nostro corpo, è il confine tra il dentro e il fuori, tra il me e il non me. “toccare la realtà” significa saggiarla, percepirla,il tatto ci dice se una superficie è ruvida o liscia, calda o fredda, accarezziamo o feriamo, entriamo nel corpo dell’altro tagliando lo strato protettivo: la pelle.
Il camoscio uccide il rivale entrando con il suo corno uncinato nel sottopancia provocando uno squarcio nel corpo, penetrando nella sua pelle.
I cinque sensi seguono un tempo e un ritmo , è una danza di connessioni, intrecci, fili conduttori, insieme lavorano per fornire un adeguato adattamento nel mondo.
 In conclusione:
Le nostre sensazioni, spesso bistratate, e poco “ascoltate” isolate persino da noi stessi, questo stato di cose ci rende ciechi, sordi, perdiamo il gusto della vita, l’olfatto è grossolano, la sensibilità del tatto quasi scomparsa. La solitudine è una prigione costruita dall’uomo.
La sua corsa all’oro di un’intera vita, sempre proiettato in avanti o indietro e mai centrato sul momento, la smania di possesso insita alla consapevolezza di essere superiore ad ogni altra “cosa” gli lascia solo brevi sprazzi di lucidità su ciò che è davvero fondante nella vita, sprazzi relegati a momenti di “crisi” personale nei quali, riconoscersi l’animale meno umano, potrebbe servirgli da sprone a ricollegarsi con quegli elementi relegati in uno spazio angusto, buio, umido il più possibile lontano da sé.
Nondimeno se soltanto ci fermassimo al centro della scena, a pensare a quanto siano importanti i passaggi esistenziali: sono quelli che ci permettono di andare e venire nel tempo e nello spazio pur rimanendo fermi, seduti in poltrona, sprofondati nel divano, sdraiati nel letto, se soltanto recuperassimo quelle sensazioni che da piccoli rappresentavano il nostro mondo reale!
Passato e presente si intrecciano, linee sottili che ricamano il nostro destino, le nostre esperienze, la nostra coscienza.
 Il Bracconiere è la rappresentazione di un certo tipo di uomo, il camoscio è per certi versi la sua parte inferiore, il suo controaltare.
Il tempo del cacciatore è il tempo premeditato, che ha un termine, è contrassegnato da una prerogativa mortale.
Il camoscio è al centro del ciclo vitale: questo è il suo tempo. 
Dr.ssa Donatella Steck
 Lezione 27 febbraio 2012
 E’ un mattino  freddo di novembre quello che vedrà i due “re” dei camosci andare incontro all’ultima stagione dei rispettivi regni.
Entrambi sembra abbiano fondato la loro esistenza sulla forza, sull’abilità specifica di sopravvivere alle situazioni più estreme (per il bracconiere in misura maggiore rispetto al camoscio), e su un istinto primordiale che li porta a conoscere il mondo della montagna.
Per l’animale è il suo mondo, lo conosce  in maniera naturale, esso appartiene a quell’ambiente; per l’uomo l’adattamento è stato ed è molto più difficile, soltanto con le strategie egli riesce ad aggirare gli ostacoli, a superare i limiti.
E’ il mattino in cui animale e uomo sentono giunto il momento in cui si concluderà la loro esperienza di vita e di dominio sulle vicende delle loro esistenze.
Colpisce la profondità dei ragionamenti che l'uomo fa tra sé e sé, sulla sua solitudine, sul senso della vita, appare strano per un bracconiere, sempre dedito all’arricchimento e al possesso, ma oggi egli sa.
Il camoscio osservando le femmine e i giovani maschi sa che uno dei suoi figli lo spodesterà.
L’uomo e l’animale si conoscono bene, si riconoscono e, a loro modo, si rispettano; entrambi hanno il fiuto fine, riconoscono l’odore l’uno dell’altro, si scrutano a distanza e si combattono con astuzia e intelligenza: due figure inchiodate al destino e al ritmo della montagna.
Oggi è il giorno dell’ultimo incontro e dell’ultimo duello.
Nel racconto si incontra una farfalla, compare e scompare, appare qua e là in piccoli scorci episodici quasi marginali; poche righe inserite di tanto in tanto nella narrazione, come un volo in apparenza privo di direzione.
Occorre però credere che l’autore abbia voluto assegnare a questi brevi accenni grande rilevanza se vengono condensati nel titolo dato al racconto.
 Il peso simbolico.
 Il mattino è l’inizio dell’esistenza, della prima parte dell’esistenza, ma questo è il mattino della presa di coscienza, della chiarezza che indica il compiersi di un ciclo.
Sospeso nell’aria il camoscio sorpassa la testa dell’uomo, il movimento smuove l’aria, un battito d’ali e il bracconiere si gira, imbraccia il fucile e la pallottola schizza veloce e raggiunge il bersaglio.
Per il cacciatore, tutto quel che non aveva mai visto divenne chiaro all’improvviso.
Guardando il più bel camoscio abbattuto rimase incredulo di fronte alla scena che si presenta ai suoi occhi: prima le femmine con gli ultimi nati in primavera, poi i giovani maschi, si piegano rendendo omaggio al loro re, non mostrando timore, quasi indifferenti della  presenza dell’uomo, importa solo l’ultimo saluto a chi ha dato loro la vita. Quaranta occhi di camosci sopravvissuti che non avevano paura, guardarono il bracconiere e uno alla volta resero onore al più magnifico camoscio mai esistito.
Anche l’uomo non poteva lasciare quella carcassa alla voracità dei predatori, decise di seppellire quel corpo, caricandoselo sulle spalle e cadendo sotto il suo peso.
In primavera un boscaiolo li trovò abbracciati nell’attimo finale di due vite diverse eppure per certi versi uguali.
Nessuna tristezza né malinconia nella fine di queste due vite, una farfalla bianca testimonia un ciclo giunto al suo termine.
La visione della farfalla posata sul muso del camoscio e sul fucile del bracconiere, come il peso della vita di ciascuno, delle azioni, del pensiero, su di un mondo che esiste da prima che arrivasse l'uomo e che l'uomo dovrebbe abitare con rispetto anziché cercare, sempre, di possederlo.
La farfalla è un insetto che compie metamorfosi passando da una forma all’altra:bruco, crisalide, farfalla.
Allegoria e simbolo della Psiche (C.G. Jung) indica l’anima, spesso viene rappresentata posta sulla testa di una persona morta.
Il volo della farfalla è spezzettato con ghirigori, angoli e spirali. E’ un insetto leggero, spirituale; spesso collegata a immagini oniriche e della fantasia.
Il miracolo delle sue metamorfosi ha profondamente turbato l’uomo, per questo la delicata farfalla è divenuta allegoria e simbolo delle sue trasformazioni psichiche fornendogli inoltre la speranza di liberarsi un giorno delle contingenze terrestri e accedere alle regioni eteree d’una luce eterna.

Cornacchia. Dal punto di vista simbolico non viene distinta dal corvo. In origine il suo piumaggio era bianco, poi una maledizione del dio Apollo rese le sue piume nere come la pece.
Impressionano, al pari dei corvi, per il colore nero e per il loro gracchiare lugubre, l’attrazione per le carogne. Sorvolano i cadaveri sul campo nel giorno successivo la battaglia. Astute, diffidenti, accorte, sfruttano il volo potente e alto.
Per la loro lunga vita sono indicate simbolicamente, come saggezza dovuta alla conoscenza e alla esperienza.
Psichicamente  rappresentano le forze vive che scaturiscono dalle tenebre dell’inconscio, da cui può uscire tanto il meglio quanto il peggio.
Messaggere superiori mandate dall’inconscio, possono rappresentare l’espressione oscura del pensiero sinistro, delle idee nere, che assalgono improvvise impregnando l’atteggiamento conscio in relazione a uno scorretto adattamento psichico.
Dr.ssa Donatella Steck
 Lezione 5 marzo 2012
 Come richiesto ecco alcune precisazioni e chiarimenti su figure simboliche.
 Uccelli: cioè l’anima umana.
 Gli uccelli sono  un tema ricorrente dal contenuto ricchissimo di simbolismo; il loro volo li predispongono a fare da simboli ai rapporti tra cielo e terra. Rappresentano l’anima nella sua natura aerea.
L’anima umana, privata del corpo, è spesso rappresentata in figura di uccello o come uccello dalla testa di uomo che nell’antico mondo egizio veniva chiamata Ba.
Nel taoismo il significato degli uccelli viene trasposto nelle figure che gli Immortali assumono per esprimere la Leggerezza, la Liberazione dalla pesantezza terrestre.
Sono Otto gli Immortali che appaiono sotto sembianze di uccelli per significare il superamento delle contingenze terrene, spaziali e temporali.
L’uccello in generale è la figura dell’anima che sfugge dal corpo o dalle funzioni intellettuali come dice il Rig Veda: l’intelligenza è il più rapido degli uccelli.
Il Rig Veda raccoglie i più antichi documenti dello spirito umano, definiti la Scienza Sacra.
Abbiamo reperti preistorici, i disegni delle grotte di Altamira e di Lascaux, di uomini-uccello che sono stati interpretati come volo dell’anima o volo estatico dello sciamano.
Diversi sono i significati che vengono attribuiti agli uccelli, e a questo proposito sottolineo che le sfumature si collegano alle varie specie di uccelli.
Liberati dalla pesantezza essi rappresentano la trascendenza, l’immaterialità, il distacco dall’involucro corporeo che ancòra l’individuo alla terra, figurativamente rinviano all’immagine dell’elevazione, degli stadi superiori di coscienza, alla spiritualità.
Rappresentando gli stati spirituali sono accostati agli angeli altro simbolo degli stati superiori dell’essere. Anche nell’Islam gli uccelli sono simboli degli angeli.
Numerosi sono gli uccelli azzurri descritti nella letteratura cinese (epoca di Han); sarebbero delle fate, dei messaggeri celesti. Il Caos è rappresentato da un uccello giallo e rosso come una palla di fuoco, non ha volto, è dotato di sei zampe e quattro ali, è in grado di cantare e di ballare, ma non di mangiare e di respirare. Gli antichi cinesi coglievano un segno rivelatore quando un uccello arrivava a distruggere il suo nido, annunciava disordine e agitazione dell’Impero.
Nella civiltà celtica l’uccello, in generale, è il messaggero o l’ausiliario degli dèi e del Mondo dell’al di là: in Irlanda, cigno; gru, airone in Gallia; l’oca in Gran Bretagna, il corvo, lo scricciolo o la gallina.
Solitamente l’uccello è opposto al serpente in quanto simbolo del mondo celeste in opposizione al mondo terrestre.
Dr.ssa Donatella Steck - Gruppo discenti Upter

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