giovedì 17 novembre 2011

A.Saint-Exupéry: Il Piccolo Principe: Archetipo del Puer Aeternus

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Donatella Steck
Dottore in Psicologia Clinica-Psicoterapeuta
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Il Piccolo Principe e l’Archetipo del Puer Aeternus

Nel saggio sull’archetipo del Fanciullo Divino, Jung afferma che il bambino rappresenta l’inizio e la fine:

Ø      Inizio: la creatura che esisteva prima di diventare uomo- filius ante patrem –
Ø      Fine:   la creatura finale cioè quando l’uomo non è più, forse un’anticipazione per analogia della vita dopo la morte.

L’irruzione di questo archetipo nella vita dell’uomo è un’esperienza che induce una meditazione profonda che ci mette in contatto con la dimensione spirituale.
In tutte le mitologie l’archetipo del Fanciullo è presente e porta con sé segni caratteristici:

Ø      E’ solo, talvolta è orfano, si genera dal fuoco, più spesso dall’acqua; oppure sprizza dall’uovo d’oro ( Aristofane chiama Eros), o ancora, l’uovo esce dall’acquaÞsimbolo evidente  che l’acqua è il materno da cui nasce l’uomo.
Ø      Immagine di tutte le EpifanieÞil mondo ebbe vita dall’acqua.
Ø      In Ovidio (Metamorfosi libro IV, vv18-20) la figura archetipica del Puer viene riferita alla nascita di un dio interiore ma assume una connotazione negativa nel senso che è Eros legato alla madre, vale a dire, alla Terra dalla quale ha difficoltà a staccarsi. E’ una figura debole e dipendente; una volta cresciuto ri-torna ad essere il Fanciullo Divino della sua origine, quanto mai positivo nella sua rappresentazione del Sé.
Ø      Una volta adulti, cioè radicati, l’Ombra del Puer ci fa ondeggiare verso il trascendente che, nel gioco delle polarità, da un lato tenta di impedirci di crescere e dall’altro ci mette a contatto con il simbolo del Sé.
Ø      Il Sé deriva dalla presa di coscienza dell’Ombra infantile, è la lotta che intraprendiamo tutti i giorni della nostra esistenza tra la “patologia” e il Sé

Puer Aeternus è il nome di un dio dell’antichità; in epoca successiva il dio-fanciullo venne identificato con Dioniso e con Eros. E’ il giovinetto divino che, nei misteri del culto materno di Eleusi, nasce nella notte sacra per essere redentore. E’ il dio della vita, della morte e della resurrezione, corrisponde alle divinità orientali Tamuz, Attis e Adone. Dunque nell’antichità Puer Aeternus significava “eterno fanciullo”, oggi questa espressione viene usata per identificare un tipo particolare di uomo.
Ø      E’ un uomo con un complesso materno molto pronunciato che influenza il suo comportamento secondo modalità tipiche che cercherò di descrivere nel corso dell’analisi del Libro di Saint-Exupery.
Ø      Si direbbe che l’IO di questo uomo è Costellato nel complesso materno.
Ø      In linea generale si può dire che con l’A. del Puer si suole identificare l’uomo che rimane troppo a lungo nei limiti di una psicologia adolescenziale, cioè, conserva anche in età adulta i tratti caratteristici del giovane di diciassette - diciotto anni
Ø      E’ un prolungamento dell’adolescenza che si combina con una dipendenza troppo stretta con la madre.
Ø      Jung ha sottolineato che questo spiccato complesso materno, presenta: Omosessualità e Dongiovannismo.
Ø      Nel secondo caso l’uomo ricerca in ogni donna una figura di madre, immagine della donna perfetta, pronta a concedere tutto. In realtà il Puer cerca una dea-madre. Ogni volta, però, è costretto a scoprire che la donna è un normalissimo essere umano, così svanito il fascino dell’esperienza sessuale, la lascia deluso, e riparte con una nuova proiezione della stessa immagine su di un’altra donna.

Lezione 7 novembre 2011

Aggiungo alcune precisazioni all’incontro della lezione del 31 ottobre.

Il Puer è un intrattenitore assai gradevole, nei suoi argomenti si percepisce entusiasmo e di solito sono sempre interessanti agli occhi dei suoi interlocutori; è ironico, spiritoso, talvolta irriverente, non ama le situazioni rigidamente convenzionali, sempre sincero, va dritto al cuore del problema. Curioso e attento, il Fanciullo pone domande profonde che mettono in difficoltà chi deve dare risposte, un esempio è il bambino che chiede il “perché?” o fa delle osservazioni del tutto spontanee che lasciano perplessi gli adulti.

Il fascino di questo Fanciullo si protrae, in genere, anche negli stadi successivi della vita.
C’è poi, un’altra tipologia di Puer meno affascinante e coinvolgente: è l’adolescente che sembra vivere in un continuo stordimento e torpore, tipica caratteristica adolescenziale, è un ragazzo indisciplinato, sonnolento, ciondolante, dinoccolato, con la mente sempre “altrove”; a vederlo così prudono le mani e verrebbe voglia di scuoterlo, che so?, con una bella secchiata di acqua gelata per svegliarlo. Attenzione, non tragga in inganno.
Questo stupore sonnolento è solo esteriore (parliamo di condizioni di salute normali, non di patologie specifiche, tipo ritardo mentale, deficit, stato crepuscolare, ecc), a ben guardare, il ragazzo ha una vita fantastica assai vivida e feconda.
Poi vanno considerate le crisi adolescenziali che segnano il passaggio nell’adultità.

Preciso, ancora una volta, che questa è solo una sintesi. Lungo l’anno avremo modo di tornare spesso alla figura del Puer perché è un archetipo, o figura archetipale, che affiora nei sogni, nei racconti, nelle fiabe, nei miti; chi ha nipoti, lo può “vedere” all’opera.
I bambini sono affascinanti e seduttivi ed hanno in sé la magia di trasportarci sulle ali della fantasia, cosa forse, sgradevole per i Senex nelle componenti di conservatorismo e rigidità.

Gli aspetti che complicano la vita del Puer, riguardano il suo scarso adattamento alla realtà e alle situazioni sociali. Emerge una forma di individualismo asociale, talora sente di essere un “individuo speciale”, un “genio” che arriva a comprendere, prima del resto del mondo, le situazioni;  arrogante negli atteggiamenti manifesta, in realtà, un’oscillazione tra:

Ø      falsi sentimenti di superiorità
Ø      complesso di inferiorità e inadeguatezza
Ø      questo genere di Fanciullo riesce difficilmente a trovare il lavoro giusto (e se accade non riesce a trattenere);
Ø      qualsiasi proposta non corrisponde mai esattamente a ciò che egli immaginava;
Ø      trova sempre che qualcosa non va;
Ø      nella sua  esistenza c’è sempre un “ma” che impedisce qualunque tipo di impegno
Ø      capita di avere la sensazione, in chi entra a contatto con lui, che egli viva una “vita provvisoria” (termine usato da H.G. Baynes) è una forma di nevrosi che colpisce, in questi ultimi anni, parecchi giovani –maschi e femmine- e non propriamente adolescenti: entriamo, infatti,  in un fascia di età in cui l’adolescenza è passata da oltre un decennio;
Ø      teme di essere “inchiodato” in una situazione e/o condizione che lo obbliga ad ancorarsi alla realtà, a legarsi a qualche cosa. Ciò lo fa fuggire.

Andando avanti nella lettura e analizzando il libro di De Saint-Exupery, Il Piccolo Principe, troveremo altre caratteristiche che amplieranno il quadro di questa  struttura di personalità.
Coglieremo insieme, i tanti simboli che affiorano nel racconto e li compareremo con i sogni. Prenderemo in esame tale personalità negli aspetti sia positivi che negativi, patologici e sani. Inoltre, ricordo che già una parte di questo archetipico è stato trattato
negli anni precedenti quando abbiamo parlato di Peter Pan (Barrie), del Gabbiano Jonathan Livingstone (Bach), del Mito di Narciso, cui vi rimando.

Di seguito e in modo sintetico (l’esposizione più completa potete recuperarla nelle dispense degli anni precedenti), alcuni concetti chiave della teoria di  C.G. Jung. I concetti junghiani sono diversificati e tanti, noi per il momento prendiamo in considerazione questi, poi si vedrà.

Anima: (dal latino anima-ae) è la componente inconscia femminile della personalità dell’uomo. Nei sogni è rappresentata con immagini di donne che si diversificano e vanno dalla prostituta, seduttrice, strega, donna vampiro alla fanciulla, guida spirituale (saggezza). L’Anima è il principio dell’Eros perciò il suo sviluppo nell’uomo si riflette nel modo di rapportarsi alla donna. Una forte identificazione con l’Anima può comportare aspetti caratteriali quali: effeminatezza, ipersensibilità, sbalzi dell’umore, tendenze depressive, melanconia. Jung osserva che Anima è l’Archetipo della vita stessa.

Animus: (dal latino animus-i) è la componente inconscia maschile della personalità della donna. Rappresenta il principio del Logos . Una identificazione con l’Animus mette in evidenza caratteristiche quali rigidità, intransigenza, spirito polemico, razionalismo, conservatorismo, spigolosità. Nell’aspetto positivo è la componente dell’uomo interiore, cioè dell’uomo dentro di sé; con un’immagine metaforica si può dire che Animus fa da ponte fra l’IO della donna e le risorse creative dell’inconscio.

Ombra: Parte inconscia della personalità di ogni individuo (♂♀) caratterizzata da tratti e comportamenti –sia negativi sia positivi – che l’IO cosciente tenta di rimuovere o ignorare. Nei sogni è rappresentata da una persona dello stesso sesso di chi sogna. L’accettazione cosciente della propria ombra generalmente comporta un accrescimento di energia.

Sé: Archetipo della totalità e centro regolatore della personalità. E’ sperimentato come un potere soprannaturale che trascende l’IO (ad esempio: Dio).

Simbolo: E’ la migliore espressione possibile per qualcosa di sconosciuto. Il pensiero simbolico non è lineare ed è controllato dall’emisfero destro del cervello; è complementare al pensiero logico, lineare controllato dall’emisfero sinistro.

 Costellazione: Ogni qualvolta si verifica un’intensa reazione nei confronti di una persona o di una situazione, si dice : il complesso è “costellato” vale a dire: attivato. I frammenti psichici sono manifestazioni di complessi inconsci e Jung precisa che “complesso” significa una costellazione che è rimossa nell’inconscio, qui segue e conduce una esistenza attiva e autonoma. Quando si usa il termine “costellazione” in psicologia, si vuole intendere un contesto psichico attivo i cui molteplici elementi come sentimenti, percezioni, pensieri, ricordi, sono unificati dalla tonalità affettiva che li accomuna.

Associazione: E’ il flusso spontaneo di immagini e pensieri fra loro connessi che emerge attorno a un’idea specifica che è determinato da connessioni inconsce.

Pensiero:  Una delle quattro funzioni della psiche distinta dalla sensazione, intuizione, sentimento, ma sempre in differenti relazioni con essi e con l’attività pratica. Il pensiero non prescinde dall’affettività e dalle emozioni in quanto entrambi, in un funzionamento pschico complessivo, risultano sempre intrecciate con il pensiero stesso cui conferiscono rilevanza specifica. Il Pensiero è la funzione attraverso la quale la coscienza si correla sia al mondo esterno sia al mondo interno e, dunque, anche all’inconscio personale e all’inconscio collettivo. Ogni pensiero, volontario e involontario è inteso come indice della condizione in cui versano tanto la nostra affettività profonda quanto la psiche nel suo complesso. L’eccessivo attivarsi di un’altra funzione (ad esempio la sensazione) rende difficile il processo del pensiero, così come una limitazione di sentimento, intuizione, sensazione, ha l’effetto di irrigidire gli stessi pensieri.

Sentimento: Un’altra funzione della Psiche. E’ la funzione razionale che valuta il peso dei rapporti e delle situazioni: va distinto dall’emozione che è dovuta all’attivazione di un complesso.

Intuizione: Altra funzione psichica. E’ la funzione irrazionale che indica le possibilità insite nel presente. Contrariamente a quanto avviene nella sensazione, l’intuizione percepisce attraverso l’inconscio. Un esempio sono i “lampi d’intuizione” di origine sconosciuta.

Sensazione: E’ la funzione che percepisce la realtà immediata attraverso i sensi fisici.

Proseguendo, qualora dovessero emergere problemi con altri concetti, li raccoglieremo come abbiamo fatto con questi sopra descritti. Se qualche altro concetto a voi non  è chiaro, basta dirlo, lo aggiungeremo a questo elenco.

Fatte queste brevissime precisazioni, proseguiamo il nostro viaggio nel deserto in compagnia del piccolo principe e dell’aviatore.
Nel primo capitolo che abbiamo letto emergono alcuni animali-simbolo che talvolta compaiono nei sogni.
Prima di entrare ad analizzarli, mi preme sottolineare il conflitto che sembra essere la questione centrale della personalità puer: come si fa ad uscire dalla vita fantastica dell’infanzia senza smarrirne il grande valore? Come si può diventare adulti e non perdere quel meraviglioso senso della totalità, della creatività, quel sentirsi vivi che si prova durante la giovinezza?
Difficile, non impossibile.  Per il momento accantoniamo questo dilemma, chissà che non si riesca insieme a trovare una risposta. E’ una questione di grande attualità nella società odierna, in cui la condizione di eterni bambini è diventata un dato di fatto per molte persone, dato che diventare adulti è ormai un processo difficile e di lunghissima durata.
Per concludere questa prima esposizione: l’Eterno Fanciullo è una figura che è stata individuata da Jung come immagine dell’inconscio collettivo, essa prende diverse e molteplici forme ed è possibile intravvederla nei miti e nelle religioni di molte civiltà. Si affaccia nei sogni, nelle fiabe, nei racconti e elementi caratteristici sono la carica di energia, di creatività, di gioiosa irresponsabilità, il fascino, l’intelligenza rapida, il coraggio – dovuto con ogni probabilità proprio alla sua irresponsabilità – di contro i suoi tratti meno affascinanti sono la mancanza di concretezza e costanza, l’egoismo affettivo, l’instabilità nei rapporti, una quota consistente di incoscienza irresponsabile, difficile esame di realtà.

Il Simbolismo: Incontriamo il Boa constrictor, l’Elefante, la Pecora.     
Iniziamo dal Boa constrictor, i primi due disegni che Saint-Exupéry ci presenta e che hanno implicazioni inconsce riguardanti non solo lui, il suo inconscio personale, ma l’inconscio collettivo poiché sono immagini universali contenenti elementi psichici della natura umana.
Il Boa è un’immagine dell’inconscio e per la forza e potenza nell’avvolgere tra le sue spire rimanda un vissuto di soffocamento, e in realtà è proprio quello che fa nel divorare le prede, contrariamente ad altri serpenti che iniettano veleno, dunque è associabile alla componente psichica che soffoca la vita impedendo all’essere umano di svilupparsi.
E’ l’aspetto divorante o, se vogliamo usare un altro termine con la stessa valenza, regressivo. E’ la tendenza a volgerci indietro, molto più spesso di quanto non si pensi, invece di guardare avanti verso la progressione; è quella tendenza che ci afferra e ci stringe quando l’inconscio ci schiaccia e diventa opprimente. Nel suo aspetto estremamente negativo, questo simbolo ci evidenzia la spinta verso la morte.
Associabile al boa è il mostro del viaggio notturno per mare (talvolta compare nei sogni-incubo), è la balena di Giona, quella di Geppetto e Pinocchio, nondimeno in contrasto con altri paralleli mitologici e fiabeschi, l’Eroe qui viene inghiottito per non riemergere mai più. Negli altri casi, sappiamo che l’Eroe riesce ad essere rigurgitato e ritornare alla luce, mettendo in atto comportamenti e strategie idonee per salvarsi la vita. Nel nostro caso la vita scivola via. Non stiamo parlando della vita fisica bensì di quella psichica.
Ho parlato dell’Eroe, perché esistono diversi miti dell’eroe inghiottito dal drago, dal serpente, dal mostro marino o dalla balena. L’eroe è l’IO che cerca in tutti i modi possibili di emergere dall’inconscio indifferenziato per acquisire la coscienza di sé. Infatti, quando l’eroe viene inghiottito - metaforicamente quando le nostre tendenze regressive ci proiettano indietro, ci afferrano, ci sospingono a indulgere in atteggiamenti tipicamente infantili - deve, per riprendersi la libertà di essere, tagliare il cuore dall’interno, oppure saltare dentro lo stomaco del mostro fino a che esso lo vomita o muore. Così si sciolgono i legami letali con l’infantilismo.

Elefante In modo che alla nostra mente razionale appare paradossale, l’elefante nel disegno rappresenta l’autore. Ci sono tantissime storie intorno all’elefante, animale rimasto sconosciuto nei paesi europei per diverso tempo.

Nell’Antica Roma Annibale portò con sé questi animali mastodontici valicò le Alpi e mise in difficoltà i Romani che mai avevano visto simili animali.
Poi ci fu Alessandro Magno che introdusse gli elefanti in Europa dopo averli visti in India.
Scorrendo ciò che è stato scritto sull’argomento, si evince quanta fantasia mitologica sia stata tessuta intorno a questo animale. I racconti medioevali, a cura di un padre gesuita, Nikolaus Caussinus (cit. da M.L. von Franz 1988) evidenziano alcune caratteristiche alquanto fantasiose e divertenti: “….sono molto casti; si accoppiano una sola volta nella vita, molto segretamente e al solo scopo di procreare. Sono perciò un’allegoria della castità nunziale”.  Poi prosegue attribuendo tratti tipicamente umani : “…..si pensava che gli elefanti fossero terribilmente ambiziosi e che, se non veniva accordato loro l’onore dovuto, potevano morire di frustrazione, perché il loro senso dell’onore era assai elevato.”
Nel Medioevo l’elefante rappresentava l’uomo generoso, ma di carattere mutevole, perché si diceva che l’elefante fosse generoso, intelligente, taciturno, ma se colto dalla rabbia, niente poteva placarlo, se non la musica. L’elefante è raffigurato come nemico del serpente, che rappresenta il male. La femmina dell'elefante, quando giunge l'epoca in cui deve partorire, per proteggersi dal serpente se ne va in uno stagno d'acqua e vi entra finché l'acqua non le giunge fino alle mammelle, e poi partorisce il figlio sull'acqua. Mentre partorisce, l'elefante maschio la protegge dal serpente, il serpente è nemico dell'elefante, quando l'elefante lo trova, lo calpesta e lo uccide. Per la sua forza l'elefante era utilizzato nelle imprese belliche.
Questo animale, in Africa, è considerato molto al di sopra del leone che pure è l’immagine dell’uomo coraggioso, ma l’elefante ha qualcosa in più: i popoli dell’Africa proiettarono l’archetipo dell’Eroe e, quindi, per un uomo il titolo più ambito è quello di elefante, è un onore ricevere tale titolo perché oltre all’uomo coraggioso è l’immagine del capo e raffigura l’archetipo dello Stregone o del Saggio. E’ l’animale che possiede la saggezza e il sapere segreto. L’elefante simbolizza la personalità individuata.

Pecora:  Agli occhi di chi detiene una posizione di potere, gli altri sono “pecore”. E’ capitato a ciascuno di noi di avere la sensazione di sentirci  “massa” più che “individui”, quando, ad esempio,  venendo a conoscenza che è in proiezione in film e molta gente va a vederlo, di dire “beh deve essere interessante”, oppure, altro esempio,  quando andiamo a vedere una galleria d’arte dove sono esposti quadri che riteniamo brutti ma non abbiamo il coraggio di esprimere la nostra opinione, perché il nome dell’artista è conosciuto e non vogliamo fare brutta figura. Sono esempi, certo, ma ci sono tante situazioni in cui il parallelismo è simile.
Alla pecora si suole associare il lupo; visto dalla posizione psicoanalitica e sociale relativamente a quanto appena detto, questo animale può essere equiparato a un dittatore o a un leader o a qualunque altra persona che guida la vita pubblica con la menzogna, la frode. In termini della psicologia junghiana e nella vita privata, è l’Animus della madre divorante che si impossessa del figlio-pecora.
Veniamo alla pecora. L’arguzia degli antichi Greci era davvero insuperabile. In greco, infatti, la pecora ha un nome che rivela parecchie cose.
Prbaton deriva dal verbo il cui significato è procedere; la pecora è un animale che cammina in avanti e i Greci rendevano neutro questo animale definendolo la “cosa che va avanti”. Infatti questo animale non ha altra scelta, né altra funzione che quella di procedere in avanti.
L’aspetto negativo della pecora sta nel fatto che l’animale segue l’ariete capo branco ovunque esso vada.  L’istinto di camminare attaccate l’una all’altra nel gregge è un istinto talmente sviluppato che non riescono a staccarsi nemmeno per salvarsi la vita.
Per questa sua caratteristica,  quando la pecora compare nei sogni in una connessione negativa, rappresenta la stessa cosa in noi: la psicologia di massa, la tendenza a lasciarci contagiare dalla massificazione senza reagire con la nostra propria capacità di giudizio e i nostri impulsi. La pecora è l’animale-massa per eccellenza.
Ma è naturale che in noi ci sia l’uomo-massa e non dobbiamo stupircene troppo. L’uomo nasce con una Psiche gruppale e un istinto gregario.

Nella mitologia, nelle religioni, la pecora ha una peculiare relazione con il mondo del Fanciullo Divino. Numerose sono le pitture del XVI secolo  che ritraggono il fanciullo mentre gioca con un agnellino.  Pecora/agnello è un animale totemico di Cristo.
Nel folklore germanico i contadini credevano che le nuvole “a pecorelle”, fossero le anime dei bambini non ancora nati o le anime degli innocenti.
Le credenze popolari intorno alla pecora ne fanno  un simbolo di innocenza facilmente influenzabile; è soggetta alla stregoneria e al malocchio. E’ ovviamente una proiezione dell’uomo; l’innocente e il puro è facile preda delle forze oscure del male perché non conosce cattiveria.
Il mantello della pecora è bianco, il latte è bianco altri simboli della purezza. I simboli così marcatamente “puri” sono esposti alle infezioni e agli attacchi del male e ciò avviene perché gli opposti si attraggono, perché si scatena una sfida, una lotta ai poteri dell’oscurità.
La stessa cosa accade all’uomo che non si è ancora differenziato dall’archetipo dell’Eterno Fanciullo, del Puer; scopriamo in lui una tendenza ad essere credulone, ingenuo e idealista. Dunque è inevitabile attrarre persone che finiranno con l’ingannarlo e deluderlo.
La personalità Puer ricerca una vita perfetta, ma è solo una idealizzazione.
La faticosa strada da percorrere sta nell’accettare che non esiste nulla di perfetto, la libido va orientata verso un obiettivo perfettibile.
Perseverare nell’atteggiamento infantile assume significato di regressione, di una fuga dal proprio sentire interiore che sostiene la necessità di cambiamento e di rinnovamento anche se la realtà, qualche volta, porta con sé i batteri del male.

A. de Saint-Exupéry  Il Piccolo Principe
C.G. Jung Gli archetipi dell'inconscio collettivo Vol. IX t 2
C.G.Jung SImboli della trasformazione Vol V
Ovidio Le Metamorfosi Libro IV vv 18-20
M.L.von Franz Il mondo dei sogni (intervistata da Fraser Boa)
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Lezione 21 novembre 2011

Sull’immagine della Madre Divorante

Le immagini arcaiche si presentano con particolare intensità quando sono chiamati in causa i problemi fondamentali dell’Essere Umano. Compaiono, di solito, quando dobbiamo fare un passo ulteriore per raggiungere un livello più alto, quando si tratta dello sviluppo della personalità, o quando si è superata di fatto una specifica difficoltà.
La figura della mater e il suo apparire è di rilevante importanza per l’umanità, sia come avvenimento personale, sia come simbolo universale,
Vivere sotto l’influenza materna tinge di diverse sfumature l’inizio della nostra esistenza in maniera  significativa e continua.
La madre permea la nostra infanzia. Ella è la vita; apparteniamo a lei più che ad ogni altra donna e la sua figura oggettiva si trasforma nel nostro inconscio dando luogo ad un’immagine soggettiva carica di emozioni e sentimenti che ci accompagna per tutto l’arco della nostra umana esistenza.
Una volta cresciuto, una volta distaccatosi dal suo seno, l’individuo (♂♀) non può fare a meno di rivolgersi a lei, di continuare a nutrirsi della sua rappresentazione: il suo sacrificio, le sue carezze, il suo sorriso, il suo particolarissimo modo di condurre la casa, di gestire e dominare le ansie e le angosce, di curare e lenire le sofferenze. L’essere umano, come una pellicola ancora vergine, viene impressionato, dunque non dobbiamo stupirci troppo di vedere raffigurata o rappresentata la madre in tutte le arti, né dobbiamo stupirci delle sue apparizioni in sogno.
Ma va sottolineato che, quando i rapporti tra la madre e i figli, o tra il padre e i figli, o tra genitori e figli in via di sviluppo e di crescita sono del tutto normali (poi una quota di conflittualità  è considerata sana), vale a dire che le rispettive esigenze non superino i limiti del reciproco rispetto e considerazione, i sogni che parlano dei genitori sono abbastanza rari.
Al contrario, se la madre non “lascia andare” i figli, se da essi non si separa, l’inconscio, preavvertendo un pericolo, la rivela sotto sembianze negative, deprivandola di tutti quegli aspetti rassicuranti e benevoli.
L’immagine materna che compare ripetutamente, anche nascosta dietro i simboli, lascia supporre: assenza di autonomia, autosufficienza, indipendenza, necessarie nella vita e indicano la presenza di un Complesso materno profondo.
Jung riguardo all’ Archetipo della madre  prende in considerazione i “tipi di madre”:

“origine, entità generatrice (perciò materia) esprime la natura materiale, il grembo (utero); la propria madre e la propria nonna; una qualsiasi donna con la quale si abbia una relazione” può essere chiunque si prende cura del bambino, “nutrice, governante; la bisnonna; in senso più elevato e traslato, la dea, specialmente la madre di Dio, la Vergine….; Sophia….; come meta delle aspirazioni alla libertà…; in senso più esteso, la chiesa, l’università, la patria, la città, il paese, il cielo, la terra, il bosco, il mare e l’acqua stagnante; la materia, il mondo sotterraneo; in senso ristretto di luogo di procreazione e di nascita, il campo, il giardino, la roccia, la grotta, l’albero, la sorgente; in senso ancora più ristretto di matrice di ogni forma concava….; il forno, la pentola; sul piano animale, la vacca e ogni animale domestico. Tutti questi simboli possono avere un significato positivo, favorevole, o negativo, nefasto.”  

Lo Psichiatra elvetico prosegue poi il suo elenco con la dea, la strega, il drago e ogni animale che avvinghia, la tomba, le profondità acquatiche, l’incubo, affermando che questo elenco non ha alcuna pretesa di completezza, limitandosi solo a descrivere i tratti principali dell’archetipo materno:

“In generale le sue caratteristiche sono il lato materno, la magica autorità della donna, la saggezza e l’elevazione spirituale al di là della ragione; l’aspetto amorevole e conservatore, che porta e dispensa la crescita, il nutrimento, la fecondità; il luogo della trasformazione magica, della rinascita….; l’aspetto segreto e nascosto, l’oscurità, l’abisso, il mondo animato delle profondità sotterranee, l’elemento che inghiotte, seduce, avvelena, quello che spaventa e non perdona.”

Siamo di fronte alle polarità opposte dei caratteri della “madre amorevole” e della “madre terribile”.
Le madri terribili sono caratterizzate dall’egoismo e dalla incapacità a separarsi dal figlio/a, che accentrano tutto in sé compresi i figli e le loro anime; non abbandonano mai la “presa”, esigono senza tregua, tormentano  “torturano”,  non si rassegnano.
Ogni donna porta in sé, in misura corrispondente alla propria individualità, questi due aspetti (amorevole, terribile) essenziali della “madre”; la qualifica di “madre” è un vastissimo contenuto psichico dell’umanità, è quella esperienza ancestrale che  accumula e concentra quello che è e che è stata la madre sotto ogni forma, atteggiamento, rapporto, relazione, e che si è passivamente condensato nell’immagine della madre, creatura umana, mortale e con tanti limiti che chiamiamo “mamma”.
Ma, è per suo tramite che incontriamo la madre originaria.
Un intenso complesso materno si sviluppa quando la madre è il genitore che lascia nel figlio/a la maggiore impronta di sé.
Bisogna osservare, tuttavia, che non necessariamente la personalità della madre sia effettivamente forte, ma può accadere che il figlio/a rimanga più “impressionato” dalla personalità della madre che non da quella del padre e ciò a prescindere dalle reali condizioni di forza; oppure, molto semplicemente il figlio/a si sente più vicino alla madre che non al padre.
Nelle famiglie in cui vi è la presenza di figli maschi è possibile osservare questo fenomeno, nondimeno solo uno di essi sviluppa fin dalla prima infanzia un forte complesso materno ed è quello che ne viene maggiormente influenzato.
Inutile dire che se l’influenza è positiva ne deriverà un complesso materno positivo e, al contrario, un complesso materno negativo.
Il complesso inoltre, rappresenta la prova del modo in cui un uomo ha reagito ai propri genitori, in particolare, alla madre. E’ l’impronta che ci dice come è stato organizzato il proprio modo di reagire al sesso opposto.
Una madre divorante la possiamo riconoscere in quelle donne eccessivamente iperprotettive con i figli, iperattive e iperprodighe, tentano di tenerli fuori dalla vita. Iniziano con l’essere troppo ansiose: “Non fare questo, è pericoloso”; “fai attenzione quando giochi con gli altri bambini”; “non correre così: potresti cadere e farti del male”; “il motorino? Nooo, rischi di avere un incidente grave”.
Non è finita qui: Proseguono come rulli compressori quando il figlio comincia a frequentare delle ragazze, ma nessuna va bene anche se affermano convinte che desiderano tanto la sua felicità, che possa sposarsi, però è meglio mettersi accanto una “donna giusta”.
In linea di massima questo è il ritratto della madre che esaspera le sue qualità materne protettive trasformandosi nella madre castrante
Nel caso di Saint-Exupéry, alcuni biografi riferiscono che la madre era una donna dotata di una personalità spiccata.
Era di aspetto maestoso, energica, dinamica, piena di vitalità e di interessi: disegnava, dipingeva e scriveva. Molto imponente, aristocratica, rigida.
Immagino il piccolo Saint-Exupéry  sommerso da simile madre.
Si racconta che in diverse occasioni, avendo previsto la morte del figlio si fosse vestita a lutto, con ampi veli neri, come era in uso nelle vedove francesi, salvo poi toglierseli perché il figlio era sano e vivo.
E’ interessante il fatto che Saint-Exupéry avesse conservato il suo primo disegno e lo abbia utilizzato per mettere alla prova le persone.  Forse, aveva bisogno di essere compreso. Cercava comprensione, qualcuno che gli chiedesse  cosa avesse provato nel fare quel disegno che tutti i grandi interpretavano come Cappello, invece ricevette l’ordine di lasciar perdere l’arte figurativa e di dedicarsi allo studio della geografia, della storia, della matematica, ecc.

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Lezione 14 novembre 2011

C.G.Jung, con la teoria della Psicologia Analitica, ha costruito un certo modo d’interpretazione che trae origine dalla conoscenza dell’inconscio e dei legami tra questo e la coscienza. Egli tiene in grande considerazione, e rispetta, l’esistenza dell’energia psichica e delle sue leggi molto più della psicologia di Freud e di Adler.
Abbiamo sempre sottolineato che il sogno è il linguaggio dell’inconscio che percepiamo durante la notte; mentre l’inconscio sembra sognare solo per se stesso, noi  crediamo, invece, che ci parli.
Anche i racconti, le fiabe, le poesie, l’arte figurativa, i grandi e piccoli romanzi, la musica, attingono ad una istanza superiore che è artefice e regista.
Abbiamo iniziato a fare un lavoro di analisi del libro di A. de Saint-Exupéry,  Il Piccolo Principe, come se ci trovassimo in presenza di un sogno da tradurre prendendo spunto da elementi simbolici dell’attività dell’inconscio che parla attraverso un succedersi di immagini più che in un linguaggio parlato.
Dobbiamo immaginare l’inconscio come quell’istanza che, con mano sicura, sceglie il materiale e con tanta abilità lo organizza, paragonandolo se vogliamo, all’onnisciente conservatore di una immensa e universale biblioteca.
In questa biblioteca sono raccolte tutte le relazioni inerenti a tutti gli avvenimenti della nostra esistenza, tutte le piccole osservazioni della nostra vita quotidiana, l’esatta situazione della nostra attività. Vi sono rappresentate anche le nostre impressioni sensoriali. Appena registrate, le releghiamo in secondo piano, sia che si tratti di osservazioni fatte per strada, sia in campagna, sia su riviste, giornali. Sono migliaia di dettagli, spesso anche inutili, cha abbiamo di sfuggita intravisto  eppure compongono la nostra biografia, compreso tutto quanto ha contribuito a formare la nostra educazione e tutto quel passato dimenticato che sonnecchia in noi e che il creatore dei sogni, del romanzo, di una sinfonia, di un quadro, ecc., agguanterà al passaggio con perspicacia.
In altre parole, l’artefice e regista conosce pagina per pagina quel smisurato e incommensurabile repertorio vitale che tutti noi possediamo e che di rado, purtroppo, consultiamo un po’ per pigrizia, un po’ per superficialità.
Nel testo preso in analisi che abbiamo deciso di leggerlo come se leggessimo il sogno di Saint-Exupéry, dobbiamo fare uno sforzo e quindi cerchiamo di considerare i capitoli come tanti sogni che si compongono fino a formare l’opera letteraria come la conosciamo.
Detto ciò, un’ultima considerazione sul sogno in generale.
Ogni sogno costituisce una unità psichica  carico di tonalità affettiva; sembra possedere una conoscenza infinitamente più vasta di tutti gli eventi e di tutte le possibilità, come se avesse sede in un centro da cui è possibile abbracciare sia le più vicine che le più lontane realtà dell’essere umano.
Metaforicamente parlando è come se si ponesse due domande:

Ø      Come posso esprimere chiaramente lo sviluppo interno del suo psichismo?
Ø      Quale strategia usare per una saggia distribuzione dei diversi elementi?

Le opere che hanno per oggetto lo studio sui sogni e fanno appello alla scienza pongono in primo piano la nozione di simbolo. Elemento possente ed ermetico, che va anzitutto interpretato, vale a dire convertito in linguaggio chiaro ed accessibile alla coscienza.
Il mitologo J.J. Bachofen in un trattato sul simbolismo, ha scritto le cose più notevoli a proposito della natura dei simboli, tanto difficilmente accessibile alla ragione: “Il simbolo fa nascere il presentimento; il linguaggio non può che fornire delle spiegazioni. Il simbolo fa vibrare contemporaneamente tutte le corde dello spirito umano, mentre il linguaggio è obbligato a rivolgersi ad un pensiero alla volta.”
Il simbolo ha ramificazioni fin nelle più intime profondità dell’anima, di contro il linguaggio parlato non può che sfiorare la superficie della conoscenza, perché il primo è rivolto al mondo interiore, il secondo all’esterno.
Mentre il linguaggio elenca i fatti isolati offrendo alla coscienza solo frammenti, il simbolo porta lo spirito oltre le frontiere del finito e del divenire.
L’esperienza psichica si condensa in simbolo e questi diventa il singolare ricettacolo di un flusso vitale sempre in movimento. Esso è molto più di un semplice concetto.
Ogni simbolo è la particolare espressione di un contenuto della psiche che rimarrebbe altrimenti inafferrabile; la vita non potrà essere vissuta ed espressa nella sua più intima profondità se non per mezzo di un simbolo, di un’allegoria: non consentirà mai la dipendenza dall’intelletto e, sebbene la parte possa concepire il tutto, non potrà mai essere essa stessa questo tutto.
Comunque va detto che anche il simbolo ha i suoi limiti: può abbracciare un contenuto sostanziale e multiplo, ma non può rappresentare tutta la gamma del possibile, è per questo che talvolta si fonde l’uno nell’altro.
L’anima umana crea instancabilmente simboli e non esita ad incorporarvi forme nuove, come ad esempio, quelle appartenenti alla tecnologia moderna.
Per fare degli esempi basta pensare ai treni, le automobili, gli aerei, una centrale di energia nucleare, la televisione, il computer, la telefonia, ecc. attribuendo loro un contenuto umano e universale.
I moderni mitologi contesteranno la qualità di simbolo alle immagini prese a prestito dalla tecnica, dalla scienza, ma all’anima non importa nulla delle classificazioni, poiché questi neo-simboli non hanno ancora l’intensità inerente agli archetipi, è vero, ma ciò non impedisce loro di arricchirsi a poco a poco. Forse tra qualche millennio, i mitologi più esigenti potranno avere la gioia di scoprire in essi simboli nuovi.
Tutti gli scrittori, io credo, scrivono delle loro nevrosi; Saint-Exupéry non sfugge a questa legge. Ciò che si scrive riguarda sempre il proprio problema,  travestito di simboli e immagini parla di noi, dei nostri conflitti, delle nostre crisi esistenziali.
Ma mentre si scrive, occorre viverlo questo problema per trasformarlo e andare oltre.

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Lezione 21 novembre 2011

 Sull’immagine della Madre Divorante
 Le immagini arcaiche si presentano con particolare intensità quando sono chiamati in causa i problemi fondamentali dell’Essere Umano. Compaiono, di solito, quando dobbiamo fare un passo ulteriore per raggiungere un livello più alto, quando si tratta dello sviluppo della personalità, o quando si è superata di fatto una specifica difficoltà.
La figura della mater e il suo apparire è di rilevante importanza per l’umanità, sia come avvenimento personale, sia come simbolo universale. Vivere sotto l’influenza materna tinge di diverse sfumature l’inizio della nostra esistenza in maniera  significativa e continua.
La madre permea la nostra infanzia. Ella è la vita; apparteniamo a lei più che ad ogni altra donna e la sua figura oggettiva si trasforma nel nostro inconscio dando luogo ad un’immagine soggettiva carica di emozioni e sentimenti che ci accompagna per tutto l’arco della nostra umana esistenza.
Una volta cresciuto, una volta distaccatosi dal suo seno, l’individuo (♂♀) non può fare a meno di rivolgersi a lei, di continuare a nutrirsi della sua rappresentazione: il suo sacrificio, le sue carezze, il suo sorriso, il suo particolarissimo modo di condurre la casa, di gestire e dominare le ansie e le angosce, di curare e lenire le sofferenze. L’essere umano, come una pellicola ancora vergine, viene impressionato, dunque non dobbiamo stupirci troppo di vedere raffigurata o rappresentata la madre in tutte le arti, né dobbiamo stupirci delle sue apparizioni in sogno.
Ma va sottolineato che, quando i rapporti tra la madre e i figli, o tra il padre e i figli, o tra genitori e figli in via di sviluppo e di crescita sono del tutto normali (poi una quota di conflittualità  è considerata sana), vale a dire che le rispettive esigenze non superino i limiti del reciproco rispetto e considerazione, i sogni che parlano dei genitori sono abbastanza rari.
Al contrario, se la madre non “lascia andare” i figli, se da essi non si separa, l’inconscio, preavvertendo un pericolo, la rivela sotto sembianze negative, deprivandola di tutti quegli aspetti rassicuranti e benevoli.
L’immagine materna che compare ripetutamente, anche nascosta dietro i simboli, lascia supporre: assenza di autonomia, autosufficienza, indipendenza, necessarie nella vita e indicano la presenza di un Complesso materno profondo.
Jung riguardo all’ Archetipo della madre  prende in considerazione i “tipi di madre”:
“origine, entità generatrice (perciò materia) esprime la natura materiale, il grembo (utero); la propria madre e la propria nonna; una qualsiasi donna con la quale si abbia una relazione” può essere chiunque si prende cura del bambino, “nutrice, governante; la bisnonna; in senso più elevato e traslato, la dea, specialmente la madre di Dio, la Vergine….; Sophia….; come meta delle aspirazioni alla libertà…; in senso più esteso, la chiesa, l’università, la patria, la città, il paese, il cielo, la terra, il bosco, il mare e l’acqua stagnante; la materia, il mondo sotterraneo; in senso ristretto di luogo di procreazione e di nascita, il campo, il giardino, la roccia, la grotta, l’albero, la sorgente; in senso ancora più ristretto di matrice di ogni forma concava….; il forno, la pentola; sul piano animale, la vacca e ogni animale domestico. Tutti questi simboli possono avere un significato positivo, favorevole, o negativo, nefasto.”  
Lo Psichiatra elvetico prosegue poi il suo elenco con la dea, la strega, il drago e ogni animale che avvinghia, la tomba, le profondità acquatiche, l’incubo, affermando che questo elenco non ha alcuna pretesa di completezza, limitandosi solo a descrivere i tratti principali dell’archetipo materno:
 “In generale le sue caratteristiche sono il lato materno, la magica autorità della donna, la saggezza e l’elevazione spirituale al di là della ragione; l’aspetto amorevole e conservatore, che porta e dispensa la crescita, il nutrimento, la fecondità; il luogo della trasformazione magica, della rinascita….; l’aspetto segreto e nascosto, l’oscurità, l’abisso, il mondo animato delle profondità sotterranee, l’elemento che inghiotte, seduce, avvelena, quello che spaventa e non perdona.”
Siamo di fronte alle polarità opposte dei caratteri della “madre amorevole” e della “madre terribile”.
Le madri terribili sono caratterizzate dall’egoismo e dalla incapacità a separarsi dal figlio/a, che accentrano tutto in sé compresi i figli e le loro anime; non abbandonano mai la “presa”, esigono senza tregua, tormentano  “torturano”,  non si rassegnano.
Ogni donna porta in sé, in misura corrispondente alla propria individualità, questi due aspetti (amorevole, terribile) essenziali della “madre”; la qualifica di “madre” è un vastissimo contenuto psichico dell’umanità, è quella esperienza ancestrale che  accumula e concentra quello che è e che è stata la madre sotto ogni forma, atteggiamento, rapporto, relazione, e che si è passivamente condensato nell’immagine della madre, creatura umana, mortale e con tanti limiti che chiamiamo “mamma”.
Ma, è per suo tramite che incontriamo la madre originaria.
Un intenso complesso materno si sviluppa quando la madre è il genitore che lascia nel figlio/a la maggiore impronta di sé.
Bisogna osservare, tuttavia, che non necessariamente la personalità della madre sia effettivamente forte, ma può accadere che il figlio/a rimanga più “impressionato” dalla personalità della madre che non da quella del padre e ciò a prescindere dalle reali condizioni di forza; oppure, molto semplicemente il figlio/a si sente più vicino alla madre che non al padre.
Nelle famiglie in cui vi è la presenza di figli maschi è possibile osservare questo fenomeno nondimeno solo uno di essi sviluppa fin dalla prima infanzia un forte complesso materno ed è quello che ne viene maggiormente influenzato.
Inutile dire che se l’influenza è positiva ne deriverà un complesso materno positivo e, al contrario, un complesso materno negativo.
Il complesso inoltre, rappresenta la prova del modo in cui un uomo ha reagito ai propri genitori, in particolare, alla madre. E’ l’impronta che ci dice come è stato organizzato il proprio modo di reagire al sesso opposto.
Una madre divorante la possiamo riconoscere in quelle donne eccessivamente iperprotettive con i figli, iperattive e iperprodighe, tentano di tenerli fuori dalla vita. Iniziano con l’essere troppo ansiose: “Non fare questo, è pericoloso”; “fai attenzione quando giochi con gli altri bambini”; “non correre così: potresti cadere e farti del male”; “il motorino? Nooo, rischi di avere un incidente grave”.
Non è finita qui: Proseguono come rulli compressori quando il figlio comincia a frequentare delle ragazze, ma nessuna va bene anche se affermano convinte che desiderano tanto la sua felicità, che possa sposarsi, però è meglio mettersi accanto una “donna giusta”.
In linea di massima questo è il ritratto della madre che esaspera le sue qualità materne protettive trasformandosi nella madre castrante
Nel caso di Saint-Exupéry, alcuni biografi riferiscono che la madre era una donna dotata di una personalità spiccata. Era di aspetto maestoso, energica, dinamica, piena di vitalità e di interessi: disegnava, dipingeva e scriveva. Molto imponente, aristocratica, rigida.
Immagino il piccolo Saint-Exupéry  sommerso da simile madre.
Si racconta che in diverse occasioni, avendo previsto la morte del figlio si fosse vestita a lutto, con ampi veli neri, come era in uso nelle vedove francesi, salvo poi toglierseli perché il figlio era sano e vivo.
E’ interessante il fatto che Saint-Exupéry avesse conservato il suo primo disegno e lo abbia utilizzato per mettere alla prova le persone.  Forse, aveva bisogno di essere compreso. Cercava comprensione, qualcuno che gli chiedesse  cosa avesse provato nel fare quel disegno che tutti i grandi interpretavano come Cappello, invece ricevette l’ordine di lasciar perdere l’arte figurativa e di dedicarsi allo studio della geografia, della storia, della matematica, ecc.

Lezione 28 novembre- 5 dicembre  2011

 Simbolismo del Baobab e della Rosa
  Il conflitto tra le esigenze della vita interiore e quelle della vita esterna – la realtà – genera uno stato di enorme tensione. Nel testo in esame vediamo come le istanze infantili del Piccolo Principe (la richiesta di disegnare le pecore e il rifiuto continuo) contrastano con l’urgenza di riparare l’aereo per ritornare al proprio lavoro (realtà esterna), anche se l’adulto comprende bene il bambino  e le sue esigenze.
Ma come si fa a soddisfare le richieste della realtà esterna valutate imprescindibili dalla ragione, e quelle della vita interiore?
E’ qui che nasce il conflitto. La difficoltà si trova nel tempo.
La realtà della vita esterna è legata al tempo della immediatezza, dell’azione, della pragmaticità, mentre la realtà della vita interiore ha bisogno di molto tempo.
Per fare un esempio: i sogni richiedono  una disponibilità di tempo per essere scritti, e certamente non bastano pochi minuti perché si devono tradurre le immagini oniriche nel linguaggio parlato, ma non basta. Dopo inizia il vero lavoro di riflessione, di meditazione, di associazione che spesso interferisce con le necessità della vita esterna. Così li trascuriamo e li accantoniamo, i nostri sogni, dopo li dimentichiamo.
Questo accade perché la tensione da sostenere unita allo sforzo richiesto di fermarsi a meditare, implica l’accantonamento delle “faccende da sbrigare” che premono per essere portate a termine; la tensione si trasforma in  “fatica”, dopo in irritazione e poi in conflitto.  E’ meglio fermarmi o fare?
La personalità debole, cioè quella che tende ad avere poca forza nel reggere la tensione, si lascia facilmente scoraggiare e finisce col decidere di dedicarsi ad una delle due cose, escludendo l’altra. Di contro, la personalità stenica è capace di resistere più a lungo districandosi meglio tra le due opposte richieste. L’Impazienza è un tratto caratteristico  di “Un figlio di mamma” (Jung).
Saint-Exupéry, dopo il terzo tentativo di disegnare una pecora opta per una soluzione più sbrigativa, disegna la cassetta, così da poter tornare al suo aeroplano.
E’ come se le sue spinte interiori gli procurassero un doloroso esame della realtà: evidenziazione della sua debolezza messa in risalto da diversi altri fatti:
 Ø      Il pianeta  da dove proviene il P.P. è piccolo; è un asteroide B 612
Ø      Il bambino stesso è molto piccino e delicato
Ø      L’eroe, rappresentato dal’elefante, rimane nel ventre del boa e non riesce a  venir fuori, cioè, rimane legato alla madre
Ø      L’impazienza evidenziata in mezzi tentativi per stare in contatto con la realtà, realtà vissuta in porzioni e non è mai quella giusta
Ø      L’immagine della madre come fonte di doni perenni e costanti, paralizza lo slancio verso il “fuori”.
 Il Baobab                                 

Qualche assonanza con il Boa….un gioco di parole e molti simboli caratterizzano questa parte del libro.
L’autore, attraverso una conversazione con il bambino, viene a sapere che il suo piccolo pianeta  corre un grosso rischio: di venire distrutto dagli alberi Baobab.
Per questo motivo gli serve una pecora che mangi i germogli così da impedire la crescita di questi alberi le cui radici sono così forti ed enormi da spaccare il pianetino.
L’autore suggerisce al P.P. che sarebbero più idonei gli elefanti – questa è la seconda volta in cui si parla di elefanti, viene fatto anche un altro disegno -  ma il piccolo risponde che questi animali dovrebbero essere messi uno sull’altro poiché sul suo pianeta non c’è spazio a sufficienza.
Adesso cerchiamo di esaminare il disegno di Saint-Exupéry, per certi aspetti è un procedimento che può essere equiparato al procedimento che si fa quando si analizzano i sogni.
Partiamo da un’osservazione: tutti i disegni sono molto delicati: nel tratto e nella distribuzione del colore; tutti, tranne il disegno dei 3 Baobab che risulta più marcato nel segno e dai colori più intensi. Anche l’autore afferma di averci lavorato con molta attenzione.
Il disegno del pianeta mostra come gli elefanti siano ammucchiati l’uno sull’altro e, per chi ha una pur piccola base di psicologia junghiana coglie una “strana” correlazione con le funzioni della psiche:
Tre parti simili tra loro (tre come i baobab), una parte invece è orientata in modo opposto
(la funzione inferiore sembra essere poco sviluppata).
Nel disegno, poi, vi è riprodotta un figura piccolina:un bambino con una scure in mano – dovrebbe rappresentare il vicino che, avendo trascurato il lavoro di eliminazione dei germogli, ha visto andare distrutto il suo pianeta -  è evidente, date le proporzioni degli alberi e del bambino, che non c’è alcuna possibilità di abbatterli questi giganti. Siamo in presenza di una proiezione, cioè, dell’altro lato della personalità del P.P. che possiamo identificare con la sua Ombra, il bambino “è pigro” e non ha fatto il lavoro per tempo, così il suo pianeta è andato distrutto.
Gli alberi di Baobab sono enormi e sembrano invadere tutto il piccolo pianeta (si potrebbe fare una ipotesi: Pianeta = Sostanza Psichica), con le loro radici serpentiformi, la loro vegetazione lussureggiante = Madre Natura che  soverchia il campo della coscienza.
Due sono le associazioni immediate: sia il boa che gli alberi sono asfissianti, soffocano, paralizzano lo slancio vitale.
           L’albero- Simbologia

 In tutte le culture la simbologia dell’albero si articola intorno all’idea di Cosmo vivente (Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni,To. 1970) in continua rigenerazione. Anche se sacro, l’albero non è ovunque oggetto di culto, ma essendo raffigurazione simbolica di un’entità che lo supera, questa ne diventa oggetto di culto.
Con le radici infisse nella terra e i rami che svettano verso il cielo ricorda l’uomo, essere terrestre e mortale, spinto verso una realtà che trascende il mondo e il materiale.
Racchiude in sé  i vari momenti dell’esistenza: la nascita, lo sviluppo e la morte.
Dunque è simbolo di vita in continua evoluzione, in ascensione, rappresenta anche il carattere ciclico della evoluzione cosmica: morte e rigenerazione. In particolare gli alberi con le foglie caduche evocano la ciclicità perché si spogliano e si rivestono delle loro foglie ogni anno.
L’albero mette in comunicazione i tre livelli del cosmo: sotterraneo (le radici che scavano le profondità in cui affondano); la superficie della terra (il tronco e i primi rami); i cieli (per i rami superiori e la chioma attirata dalla luce del sole).
Il mondo ctonio e quello uranio, tramite l’albero sono in relazione sempre;  gli elementi sono in esso riuniti: l’acqua circola con la linfa, la terra si integra al suo corpo attraverso le radici, l’aria nutre le sue foglie, il fuoco si sprigiona dal legno se lo si sfrega.
Non è possibile tracciare una completa simbologia dell’albero (ci vorrebbe un manuale e non sarebbe nemmeno sufficiente), posso solo dare alcune linee di carattere generale che tornano comunque utili per stimolare il desiderio di saperne di più e fare una ricerca personale.
In quanto simbolo di vita, cioè della vita a tutti i livelli, da quello elementare a quello mistico, l’albero è in tutte le culture, assimilato alla madre, alla fonte, all’acqua primordiale. Ne ha tutta l’ambivalenza di forza creatrice, nutrice e divorante.
La psicoanalisi ha largamente usato questo simbolo dandogli una connotazione, metaforica, sessuale, Jung ne parla associando ad esso un “carattere bisessuale simbolico perché in latino hanno una desinenza maschile benché siano femminili. Il fico, ad esempio, è l’albero fallico….ma il suo frutto è femminile. Sempre Jung, dice che “….non si può considerare l’albero come puramente fallico a causa della sua forma: esso può  anche significare la donna, l’utero o la madre…..”
Nelle diverse mitologie, l’albero è legato a divinità madri: Ishtar, Iduun della mitologia germanica, Demetra e altre dee della mitologia greca, il mito di Attis e Cibele,  quello di Osiride collocato nella bara, dentro un albero; in questi casi l’albero è rappresentativo di ciò che in mitologia viene chiamato ‘madre-morte’, giacché mettere la bara nell’albero e il morto nella bara significa restituirli alla madre, all’albero.
Nella Roma imperiale, il 22 marzo, in occasione della festa chiamata Arbor intrat, un pino tagliato simulacro di Attis,  era solennemente trasferito sul Palatino.
Ma torniamo al Baobab.
Sembra che il nome derivi dall’arabo bu-hibab che significa il frutto dai molteplici semi.
Questo immenso e poderoso simbolo dell’Africa sembra unire il cielo alla terra, e inoltre fornisce alle popolazioni nutrimento e rimedio a diversi disturbi e malattie.
 Per le popolazioni africane il baobab è l’albero dai poteri magici, è chiamato l’albero farmacista, o albero del pane di scimmia, o albero del rispetto e della fiducia.
Il tronco internamente ha un tessuto spugnoso atto ad accumulare liquidi, infatti durante la stagione delle piogge incamera tanta acqua e la conserva per le stagioni secche. E’ una sorta di riserva idrica utile per gli abitanti e per gli animali.
Spesso il tronco cavo diventa luogo di sepoltura a simboleggiare la comunione tra gli spiriti della pianta e quelli del defunto.
Le fibre della corteccia, anche se strappate (per uso erboristico) dagli strati più bassi del tronco, si rigenerano velocemente, garantendo la sopravvivenza della pianta.
In tantissime connessioni simboliche, l’albero corrisponde al processo di individuazione, ma nel racconto di Saint-Exupéry il medesimo simbolo appare come un fattore distruttivo e viene identificato con la morte. E’ un albero troppo grande per il pianetino, nel disegno appare mostruoso, incute timore e preoccupazione.
Il processo di crescita interiore non può essere bloccato e se rifiutiamo il processo di individuazione, cioè se non lo accettiamo, rischiamo una implosione. In altre parole, se una persona è completamente infantile e davvero non ha altre possibilità, rimarrà ferma e poco accadrà nella sua vita. Mentre se una persona ha dentro di sé una personalità superiore ovvero una possibilità di crescita ulteriore e non la attua, allora subentrerà un disturbo psichico che la obbligherà a fare i conti con se stessa. Per fare un esempio, posso accennarvi alla nevrosi: per quanto,”fastidiosa” e anche invalidante, essa è un sintomo positivo.
Infatti, la nevrosi se letta in altra direzione (oltre la sintomatologia) indica che qualcosa vuole crescere, che la persona è in conflitto con quelle componenti psichiche che vogliono emergere, che qualcosa dentro non va, che il proprio stato attuale  necessita di un viraggio.
Il processo di individuazione procede, malgrado noi ma se resistiamo  rischiamo di entrare in quello che la von Franz definisce “individuazione negativa”, vale a dire che siamo in presenza di un processo di crescita che anziché sanare la personalità finisce col danneggiarla.
E’ in questo senso che il baobab diventa l’albero della morte; seguendo poi la simbologia più sopra accennata, la madre-morte e l’albero della vita sono indissolubilmente legati tra loro. La difficoltà consiste nel superamento del complesso materno. Certo, a tutti piacerebbe non avere responsabilità, rimanere nella giovinezza, vivere nel romanticismo e nei sogni, nelle illusioni, ma…..è deleterio perché tutte le nostre energie vengono risucchiate, il nostro slancio vitale paralizzato. Nelle lezioni precedenti ho accennato  alla nevrosi della “vita provvisoria” che affligge parecchie persone.
        
                                                       La Rosa – Simbologia

Le piante e i fiori sono soprattutto una allegoria di ciò che in noi è calmo, naturale, che si evolve verso un equilibrio armonioso della persona, conformemente alla legge interna. Le piante e i fiori esprimono contenuti psichici che affondano le loro radici nelle zone più profonde e oscure dell’esistenza. Sono tratti delicati e calde sfumature della personalità
 Potente tronco, nerboruto fusto o flessibile filo d’erba , proiettano verso il cielo, cioè verso il dominio spirituale, la formazione multicolore delle foglie e dei fiori.
I fiori hanno sempre risposto con la loro bellezza all’ammirazione e all’amore che l’uomo tributava loro.
Per bellezza, forma e profumo, la rosa è il fiore simbolico più diffuso e conosciuto in Occidente. Corrisponde al simbolo del Loto in Asia, poiché entrambi si avvicinano moltissimo al simbolo della ruota. Designa una perfezione assoluta e un compimento senza difetto.
Il valore simbolico assegnato alla rosa risale al mito di Adone, fanciullo amato da Afrodite (che supplicò Zeus affinché concedesse al fanciullo di ritornare alla vita e di trascorrere una parte dell’anno con lei, in primavera), ucciso da un cinghiale infuriato (alcuni dicono da Ares che aveva assunto la forma dell’animale), dal suo sangue sbocciarono anemoni e rose rosse. Forse per questo le rose divennero simbolo dell’amore che sopravvive alla morte, e della rinascita.
Rosalia era la festa delle rose che nella Roma Antica rientrava nel novero dei riti e delle feste dedicati al culto dei morti (si celebrava tra l’11 maggio e il 15 luglio-  Hans Biedermann, Garzanti 1991), consuetudine ancora presente in alcune regioni italiane: ad esempio la domenica di Pentecoste è chiamata “Pasqua delle rose”.
Nei culti dedicati a Dioniso – il dio del vino e dell’ebbrezza, era costume coronarsi il capo di rose, poiché si credeva che esse avessero la virtù di tenere sotto controllo i fumi dell’alcol e di calmare i bollori del vino di modo che gli ubriachi non rivelassero i loro segreti.
Le rose a cinque petali furono spesso utilizzate come ornamento dei confessionali a sottolineare il carattere della riservatezza attribuita al fiore (sub rosa= sotto il sigillo del silenzio e della discrezione- H. Biedermann ibidem). Nella simbologia cristiana la rosa rossa è il sangue versato da Cristo, e dell’amore celeste, che Dante chiama “rosa candida”. Infatti, il divino poeta l’associa all’amore paradisiaco (Paradiso XXX, vv 124-128; XXXI, vv. 1-24). L’iconografia ecclesiastica, poi, ha fatto della rosa – regina dei fiori – il simbolo della regina celeste, Maria, e della verginità e nel medioevo, solo le vergini potevano indossare ghirlande di rose.
Infine, non va trascurata la simbologia alchemica e quella massonica.
In alchimia la rosa bianca e quella rossa sono simboli del sistema dualistico rosso/bianco, dei due principi originari sulphur et mercurius  (C.G. Jung Psicologia e alchimia, vol. 12, 1995), mentre una rosa con sette petali viene di solito posta in relazione con i sette metalli e i sette pianeti. Spesso i trattati degli alchimisti si intitolano Roseto dei Filosofi.
Non va dimenticata la connessione tra la croce e la rosa simbolo dei Rosacroce: una rosa a cinque petali posta al centro di una croce.
Nella simbologia massonica viene dedicata un’attenzione particolare alla rosa. In occasione dei funerali di un “fratello”, ad esempio, vengono gettate nella sua tomba tre rose dette le “tre rose di S. Giovanni” il cui significato è luce, amore, vita.
 Non è possibile andare oltre con il simbolismo, ma quanto detto sebbene sintetico, è abbastanza corposo.
 La rosa fiorisce, dopo una lunga preparazione – come ci racconta il P.P. – e fa mostra della sua bellezza dai diversi aspetti, colori. La sua ricchezza è magica, comprende tutto quanto è sentimento e nobiltà annunciando nello stesso tempo una grande spiritualità.
Rappresenta la coppa della vita, l’anima, il cuore, l’amore. La si può contemplare come un mandala e come un centro mistico. La pienezza dei suoi petali e del suo fiore nel completo, attesta la ricchezza dell’anima.
 Nel racconto è evidente che l’autore allude alla sua esperienza con la donna e alla sua prima proiezione dell’Anima e a come tutto ciò sia stato terribilmente difficile per lui.
Egli svela di non essere stato all’altezza né della vanità e dei capricci né del fascino e della bellezza della rosa.
Alcuni biografi riferiscono che la moglie di Saint-Exupéry, tra gli altri nomi, si chiamava anche Rosa, e che il loro matrimonio si svolse in un’atmosfera particolarmente romantica.
Siccome i capricci della sua rosa lo fanno soffrire troppo, il P.P. decide di allontanarsi, di abbandonare il pianeta e il suo prezioso fiore. Si aggrappa al dorso di un uccello in migrazione e si lascia trasportare lontano: in questo modo giunge sulla terra. In questo modo veniamo a conoscere che  è capitato sulla terra perché non poteva più sopportare il fiore e le sue bizzarrie: altezzosa e presuntuosa. Entrambi sono tristi per questa separazione ma non lo danno a vedere.
Sembra la descrizione perfetta di un rapporto fra due amanti in cui l’uno tortura l’altro. Soffrono nel profondo del cuore ma sono troppo orgogliosi per fare un gesto di riconciliazione, ma forse non lo sanno fare. Animus e Anima si oppongono l’uno all’altra.
La rosa del racconto ha quattro spine e questo rimanda all’immagine di un mandala, dunque è anche un simbolo del Sé e molto spesso, nel simbolismo mitologico, del luogo di un’intima trasformazione mistica.
Ma nel nostro caso la rosa, al pari del fanciullo venuto da un asteroide, simbolizza un aspetto infantile e troppo poco sviluppato dell’anima per cui i due, per poter maturare, devono separarsi, giacché entrambi rappresentano soltanto un’anticipazione della totalità interiore, non ancora la sua realizzazione.


Lezione del 12 dicembre 2011

 A proposito del Vulcano e sua simbologia


Nel racconto vengono fornite informazioni riguardanti l’asteroide B-612, luogo di provenienza del P.P. : vi sono tre vulcani, due attivi e uno spento.

Ogni giorno il bambino li pulisce con cura perché come egli dice “non si sa mai”. Osservando il disegno notiamo il P.P. fare le pulizie; su un vulcano è posato il bricco per scaldare la colazione, sotto una campana di vetro c’è il fiore, e sul vulcano spento c’è un cappuccetto.

Quattro sono i punti di riferimento su questo pianetino: 3 vulcani e un fiore, possiamo ipotizzare  un mandala?
Possiamo considerare le quattro funzioni della psiche?
Un vulcano spento quale significato può avere?

Nel linguaggio comune capita di sentire  paragonare una persona a un vulcano: è una maniera metaforica per identificare un temperamento focoso, esplosivo (emotivamente), ardente, lavico.
Se l’immagine del vulcano attivo richiama ciò, che tipo di immagini sollecita un vulcano spento?
Certamente non possiamo affermare che simbolizzi una persona che è riuscita a dominare e vincere una parte delle sue emozioni.
Un vulcano spento è un vulcano estinto; è un vulcano che ci dice che al suo interno si sono sovrapposti strati di crosta su strati di crosta precedentemente formatisi, che queste sovrapposizioni hanno finito per soffocare il nucleo infuocato della terra, che tale nucleo ha interrotto la sua attività.
Se, sempre proseguendo con l’attività immaginale, identifichiamo il vulcano con i tratti di personalità di un individuo, integrandoli alle esperienze, ai condizionamenti dell’ambiente famigliare, alla cultura, ecc, al suo processo dialettico tra le sue componenti interiori e quelle esteriori, al suo continuo processo individuativo/trasformativo, non possiamo non considerare, allora, il fuoco come espressione del fuoco interiore e, quindi, il vulcano estinto ci parla di un individuo che non ha superato e vinto qualcosa quanto al contrario, indica il soffocamento e la morte  di aspetti psichici,  segnala il ritiro della vitalità,  che l’energia non può sprigionarsi neppure mediante un’eruzione negativa.
Un vulcano che muore avverte che il fuoco centrale del pianeta si sta lentamente esaurendo, che “la terra sta morendo e si sta raffreddando” e che il materiale al suo interno non è più sottoposto al processo di trasformazione perché tutte le sue funzioni sono rallentate e affievolite.
Figuriamoci in un pianetino così piccolo! Questo è un altro indice di debolezza vitale che segnala quanto è sempre più scarsa la capacità di reazioni emotive dirette.

“Nei sogni può fare la sua comparsa un vulcano spento quale immagine della condizione che segue la distruzione” (M.L. von Franz, 1989).

Molti di noi hanno sperimentato uno stato di prostrazione e di indifferenza, una sensazione di crollo a seguito di un’intensa esplosione emotiva; è un’orribile sensazione di svuotamento, è come se tutte le reazioni fossero esaurite e ci sentissimo “bruciati”.
Nel racconto che stiamo analizzando la distruzione sembrerebbe parziale perché solo uno dei tre vulcani è estinto, su quattro punti di riferimento ne viene a mancare uno.
Seguendo la psicologia junghiana i quattro punti di riferimento possono essere paragonati alle quattro funzioni psicologiche, dunque, una delle funzioni ha ceduto, si è esaurita.
Il fiore potrebbe rappresentare il Sentimento,
il Vulcano più grande e più marcato, opposto nel disegno al fiore, potrebbe rappresentare il Pensiero, delle altre due intuizione/sensazione sembrerebbe quest’ultima quella bruciata: sensazione e contatto con la realtà.
Eppure il principino prima di giungere sul pianeta Terra fa un lungo viaggio: attraversa sei pianeti (6 asteroidi) e fa la conoscenza di 6 personaggi abbastanza bizzarri e contraddittori.

Nei sogni spesso fanno la loro comparsa dei motivi archetipici o variazioni di essi: un viaggio in un paese straniero, un pellegrinaggio, incamminarsi per strade accidentate, incontri con persone “strane”, vecchi, ecc. scale da salire o scendere con sette gradini, caverne o luoghi sotterranei, mostri marini, terrestri, aerei, ecc.
Apparentemente sono sogni che lasciano perplessi, in realtà sono indicativi: siamo chiamati ad attuare il processo trasformativo-individuativo  per avvicinarci al Sé.
In maniera ironica e irriverente Saint-Exupéry fa dire alla sua parte fanciulla proiettata nel bambino venuto dalle stelle, che il percorso non è così semplice avendo come prima e imprescindibile scelta quella di toglierci la maschera che tanto orgogliosamente e scioccamente mostriamo agli altri senza renderci conto della figura ridicola cui andiamo incontro.
Con  uno sforzo potremmo agganciarci anche ai sette peccati capitali di cattolica memoria, o risalire al sistema filosofico di Platone- Le idee, l’Anima, ecc – o alla scala con 7 gradini, e altro ancora, ma ciò che colpisce è la puntuale raffigurazione di sfaccettature di personalità che in parte, o in toto, possono corrispondere alla nostra personalità
E’ l’Ombra che si mostra attraverso queste sei figure, o  come situazioni di adattamento alla realtà – il che evidenzia la fragilità, e i meccanismi di adeguamento che ciascuno di noi mette in atto per “digerire” aspetti paradossali della realtà, o ancora, come possibilità di incontrare l’Ombra e avviare un processo interiore di crescita.

Lezioni del 9-16 gennaio 2012
  A proposito della simbologia dei numeri.
 La volpe, il serpente, la separazione, l’addio
Conclusione dell’analisi del libro: Il Piccolo Principe di A. de Saint-Exupéry
  
Nell’ultimo incontro abbiamo affrontato la simbologia del Vulcano, anche se volutamente sono state tralasciate le connessioni presenti nelle diverse culture. Volutamente perché eravamo concentrati a considerare l’aspetto della energia vitale. Qualcuno ha chiesto se si poteva aggiungere un ulteriore approfondimento. Lo faccio ben volentieri invitandovi, nello stesso tempo, ad approfondire gli argomenti e portare il vostro contributo per ampliare la conoscenza.
 Il Vulcano è visto nelle diverse culture come punto di collegamento della terra con il mondo soprannaturale. Nella mitologia appare investito di poteri contrastanti: da un lato la straordinaria fertilità delle zone vulcaniche, dall’altro, il fuoco distruttore e di conseguenza, l’associazione all’immagine del male.
I Persiani, consideravano il vulcano il Grande avversario Ahriman il quale, sotto forma di un immenso drago/serpente incatenato al monte Demâvand – il vulcano dell’Elburz – aspetta il giorno del giudizio universale. Questo mito richiama quello di Prometeo.
Il vulcano non è solo simbolo della forza primigenia della natura e del fuoco vitale (creatore e distruttore), ma è anche un “luogo” simbolico della  “discesa” degli elementi-aria, fuoco, terra, acqua – che nel suo cratere si mescolano e si trasformano.
Altra assimilazione: quella con Shiva, dio della creazione e della distruzione.
Nella mitologia greca, Efesto (Vulcano per i Romani) ha la sua officina di fabbro nelle viscere profonde dell’Etna in Sicilia qui Zeus, dopo aspri e cruenti scontri con Tifone- il cui nome significa “fumo stupefacente”-  lo colpisce definitivamente con le sue folgori mentre il mostro sta per scagliargli addosso l’isola, ferito mortalmente, viene schiacciato rimanendovi seppellito. La sua potenza distruttrice continua dando origine alle eruzioni vulcaniche. Allegoricamente è associato alle forze vulcaniche e alla impetuosità dei venti; da un punto di vista psicologico, le eruzioni sono associate alle pulsioni irrazionali istintive, alla massa di energia indifferenziata.
Quando compare nei sogni ci sollecita a prestare attenzione alle energie compresse e trattenute dentro di noi prima che possano trasformarsi in implosioni disastrose per la nostra salute psichica. Infatti, un significato importante deriva anche dalla particolare caratteristica del vulcano nel quale, a una lunga fase di lavorio latente, interno e occulto, subentra una brusca e terribile eruzione. Domate e trasformate, queste energie, sono fonte della nostra energia spirituale.

La simbologia dei numeri

Nel racconto preso in esame spesso abbiamo incontrato dei numeri: tre baobab, tre vulcani, un fiore, quattro lati del pianeta dove sono ‘accatastati’ uno su l’altro, gli elefanti, sette pianeti, ecc.
Ora cercheremo di analizzarli, da uno a 12 e ci fermiamo qui; chi avesse altre curiosità dovrà seguire la ricerca da solo/a  con tanti ringraziamenti se vorrà farcene partecipi.
 L’uomo usa correntemente i numeri, essi sono una delle più entusiasmanti invenzioni dello spirito umano. E’ da tutti risaputo che il numero indica non solo delle quantità e dei rapporti di quantità, ma anche, specialmente da uno a dodici, un insieme di caratteri condensati in una personalità, in un simbolo.
Nei sogni i numeri sono tanto frequenti quanto difficili da interpretare. Perciò, ogni numero può esprimersi in sogno ed ognuno può diventare la forma di un avvenimento specificamente personale, può stabilire un collegamento con qualcosa accaduta in qualche luogo, può fare luce su ciò che ci circonda, su un elemento oscuro, su un fatto dimenticato. Un numero significativo può abbracciare tutto un periodo dell’esistenza, sia che si tratti di un numero civico, una data importante, un secolo, o molto più semplicemente, un numero telefonico che ci riporta alla mente una conversazione lieta o triste, ecc.
Il nostro inconscio sa sempre perché si è servito o si serve di quel dato numero e qualche volta ci aiuta a scoprire i motivi che ad esso si connettono.
 I numeri pari sono stati da sempre considerati di essenza femminile, soprattutto il numero due, a causa di certe analogie strutturali. I numeri dispari passano per essere maschili, specialmente il tre, per le stesse ragioni.
I piccoli numeri, cioè tra l’uno e il dodici, hanno, per così dire, ognuno una sua personalità possedendo forze proprie. Secondo  la filosofia di Pitagora, i numeri costituiscono la chiave d’accesso privilegiata per la comprensione delle leggi armoniche dell’universo; di qui il loro valore simbolico posto in relazione con l’ordinamento cosmico divino. Ogni forma è esprimibile numericamente “tutto è numero” e i numeri stessi sono “archetipi divini” nascosti nel mondo ma evidenziabili attraverso una correlazione con le leggi che regolano il cosmo. Filolao considera i numeri l’arché, il principio originario di ogni cosa.
Quindi, non potendo prescindere da questo aspetto storico, andiamo a ricordare le particolarità relative alla storia del pensiero e delle istituzioni umane.

Uno  non è un numero, diventa tale soltanto quando è unito ad altre indicazioni numeriche. E’ l’unità primordiale, indivisibile, è un aspetto semplice e solido, è l’inizio della numerazione ordinale, la situazione originaria, il più alto in grado.

Due non appena l’individuo si trova di fronte ad un ambiente, sperimenta subito il due, la dualità, l’associazione e l’opposizione. Una giornata completa si divide in due esatte metà; l’anno di dodici mesi anche si divide in due metà: la calda e la fredda. Il chiaro e lo scuro, la luce e le tenebre, il bene e il male sono i contrari dettati dalla esperienza. L’umanità è divisa in due sessi che si cercano per raggiungere l’unità o si fuggono nella “guerra dei sessi”. Le concezioni della mentalità filosofica cinese riposano sui principi Yin e Yang, simboli del mascolino e del femminino, della durezza e della dolcezza, del giorno e della notte, della staticità e della dinamicità.
In sogno i simboli del  conscio e dell’inconscio che si fronteggiano sono spesso due fratelli o due sorelle, due case, due entrate, l’alto e il basso, il dolce e l’amaro. Se due forme dell’esistenza, due forze vitali, occupano i piatti di una bilancia, predomina il lato statico. In caso negativo, questo aspetto indica che la vita è come cristallizzata nell’opposizione.

Il Tre è sinonimo di soluzione e di vita nuova. Come il bambino che simbolizza l’avvenire, il progetto, il tre è un prodotto del due. C’è in esso anche un elemento di volontà, un’idea; il tre porta con sé qualcosa di combattivo, che è di essenza maschile. Gli dèi appaiono spesso in gruppi di tre. Per esempio, nella religione induista l’onnipotenza divina è in Brahma, dio della creazione, in Vishnu, il dolce conservatore, e in Shiva, il grande distruttore. Il cristianesimo conosce la Trinità, quella semplice apparizione dell’Onnipotente in forma di Padre, di Figlio e di Spirito Santo: Egli è trino e tuttavia uno.
Sono tre le donne che tessono il destino degli uomini: le Parche, sono tre i Magi che vanno a trovare Gesù Bambino; la resurrezione ha avuto luogo il terzo giorno. Nelle favole sono tre fratelli o tre sorelle, tre animali, tre fate che apportano cambiamenti importanti. Per scongiurare una cattiva sorte si tocca il legno o il ferro tre volte. Il corso della vita si articola sul passato, il presente, il futuro. 
Quando compare il tre, succede qualcosa, sgorga l’energia, la vita prende una direzione. Il tre è un numero sacro ed anche pericoloso. Significa divenire – in senso positivo e negativo -, per questo motivo che talvolta nel sogno sono le tre meno un quarto o meno dieci, quando si annunciano nuovi eventi.

Il quattro è richiamato dal tre. Questo indica un’unità che non è originale, un’unità che sembra aver preso corpo a poco a poco.  Secondo  gli analisti, il quattro nel sogno ha quasi sempre significato positivo. In un anno vi sono quattro stagioni. Quattro gli elementi che costituiscono la materia e la forma del mondo: l’acqua, la terra, il fuoco, l’aria. Pitagora vede nel quattro l’origine e la radice della natura eterna.
Jung parla di quattro funzioni psicologiche a disposizione del conscio e dell’inconscio. L’individuo si orienta secondo i quattro punti cardinali. Secondo il simbolismo onirico, il quattro riguarda la trasformazione della personalità umana. In Psicologia e alchimia, 1950, Jung parla dell’importanza che aveva il quattro per l’alchimia che, come oggi sappiamo, è stata al servizio dell’individuazione. E’ seguendo le parole dei quattro Evangelisti che il credente si forma l’immagine del Cristo ed assimila la sua dottrina. Quattro sono i fiumi del Paradiso, secondo quanto dice la leggenda biblica, che scorrono verso le quattro direzioni del mondo. Si possono citare innumerevoli esempi e tutti confermerebbero che il quattro si presenta al sognatore come un aspetto importante e positivo.

Il Cinque è stato  con ogni probabilità sperimentato in primo luogo sulle dita. E’ il numero della vita e della natura. Se compare in sogno, il volto dell’anima si rivolge verso un aspetto della vita, calmo, solido e luminoso. Sembra che sia in riferimento ai cinque pianeti dell’antichità.

Il Sei  ricorre molto di rado nei sogni. Anche questo numero comunque, esprime una certa totalità. Alle quattro direzioni principali del piano, si aggiungono quelle dell’alto e del basso. Queste sei direzioni sono la totalità del possibile. I sei quadrati del dado ne mostrano la regolarità.

Il Sette ha una aureola sacra. La mitologia greca conosce sette dèi principali, l’alchimia impiega sette metalli, nelle sacre scritture si parla di sette angeli e di sette comunità. La settimana ha sette giorni, essi stessi sono in rapporto con i ventotto giorni del mese lunare e delle sue fasi. La chiesa cattolica conosce sette peccati capitali a cui si contrappongono le sette virtù. In alcune comunità, dopo la perdita dell’amato, la donna si lamenta per sette anni.

L’otto ha a che fare col quattro di cui è doppio.

Il Nove è il quadrato del tre. Negli antichissimi canti germanici, compare quando si tratta di vita o di movimento. Anche esso si trova in prossimità dell’essenza creatrice.

Il Dieci è in relazione con il grado di coscienza avanzato, permette una larga influenza del sistema decimale. Talvolta, per la posizione dell’uno seguito dallo zero, può simbolizzare la solitudine.

Qualche volta nei sogni compare l’Undici, l’interpretazione però non è facile.
Il significato del dodici ha origine nei circoli culturali di Babilonia. Esso è collegato al numero dei segni dello zodiaco e, in quanto espressione del numero dei mesi, indica l’intero anno. Nell’ambito del pensiero cristiano, il dodici è stato reso indimenticabile dal numero dei discepoli di Cristo.
……………………….. 
L’Incontro con il serpente

Quando arriva sulla Terra, il P.P. si stupisce di non vedere nessuno e pensa di aver sbagliato pianeta. Viene colpito dalla presenza di un serpente dorato che con fare seduttivo si propone di aiutarlo, il suo aiuto però è mortifero.
Il serpente infatti, sostiene di essere in grado di rimandare le persone nel luogo di provenienza e, dal momento che il pianeta è luogo assai duro per il P.P., ha la certezza che il bambino non potrà resistere a lungo così si offre di aiutarlo quando vorrà tornare indietro.
Afferma  poi di poter risolvere tutti gli enigmi giacché la morte risolve tutti i problemi. Il serpente rappresenta la tentazione della morte: offre un modo per sfuggire alla vita, l’estrema soluzione ad un problema insolubile. L’offerta è abbastanza chiara, il serpente uccide con il suo veleno, e questo è ciò che avviene alla fine del racconto.
Ma andiamo a vedere cosa questo animale rappresenta in senso generale.

Come abbiamo già considerato  svariate volte, gli animali simbolizzano una parte della psiche istintiva, il serpente, però, simbolizza un istinto molto lontano dalla coscienza.
A proposito del serpente Jung scrive: “I vertebrati inferiori sono da tempi antichissimi i simboli prediletti del substrato psichico collettivo, anatomicamente localizzato nei centri subcorticali, nel cervelletto e nel midollo spinale. Di questi organi è formato il serpente. Sogni di serpenti avvengono quindi normalmente nei casi di deviazione della coscienza dalla sua base istintiva.”. (C.G. Jung: Gli archetipi e l’inconscio collettivo).

Quando nei sogni compare il serpente, vuol dire che la coscienza è particolarmente lontana dall’istinto. Il serpente indica che l’atteggiamento cosciente non è naturale, che siamo in presenza di una doppia personalità artificiale che appare, si fa per dire, troppo adattata e troppo affascinata dal mondo esterno e che, allo stesso tempo, è incline a fallire miseramente nei momenti decisivi. Nella mitologia il serpente appare come una figura doppia. Suscita paura, porta la morte, avvelena, è nemico della luce e contemporaneamente un salvatore sotto forma animale. Forse per la sua apparente capacità di ringiovanire, ma anche perché il suo veleno usato in modo accorto (farmacia) può guarire.
Il serpente avanza pur essendo privo di piedi, esce dalle uova come gli uccelli; il suo significato simbolico è vastissimo e si collega alle idee di vita e di morte in modo così specifico che si può dire che non esista cultura che abbia ignorato questo animale.
Nella Bibbia rappresenta sia l’incarnazione del male, del nemico, - episodio del paradiso – sia il modello del Salvatore crocifisso, - racconto del serpente di bronzo che Mosé pianta nel deserto -. Anche il bastone di Aronne  si trasforma in serpente. Per i Germani del Nord il serpente che cinge con le sue spire la Terra – il serpente Midgard – è il simbolo dell’Oceano che circonda le terre emerse; in Egitto Apophis mostruoso, minaccia la barca del dio Sole.
Ci sono curiose simbologie raccolte  nel Phisiologus un testo tardo antico e proto cristiano: in un primo momento il testo si occupa del “ringiovanimento del serpente durante la muta e si dice che anche l’uomo deve togliersi la “vecchiaia del mondo”, cosi ché ringiovanito, possa aspirare alla vita eterna. Poi si racconta che il serpente prima di bere alla sorgente, lascia il veleno nella sua caverna, allo scopo di mantenere l’acqua pura, analogamente l’uomo deve abbandonare il veleno dei suoi peccati.
L’Uroboros è denso di implicazioni simboliche, per la sua forma circolare richiama l’eterno ritorno o, in generale, dell’eternità. Svolge una funzione nell’iconografia alchemica perché simboleggia il procedere circolare di certi processi, come quello che si ripete svariate volte, di evaporazione e condensazione e poi di nuovo evaporazione cui seguirà la condensazione. Laddove lo stadio della “sublimazione” veniva spesso indicato dall’immagine delle ali.  Esiste una rapporto tra serpente e aquila, falco, cicogna (animali nemici del serpente).
Nella sua funzione positiva il serpente  è attorcigliato nel caduceo, simbolo della farmacia e della medicina.
Nelle civiltà precolombiane dell’America centrale il serpente coatl rappresenta il quinto segno giornaliero del calendario.
Nel componimento in prosa di Goethe – Fiaba – il serpente simboleggia il diffondersi dell’autentica umanità.
Secondo la tradizione e interpretazione psicoanalitica, il serpente sarebbe riconducibile alla paura di un “simbolo fallico”, e che nelle antiche rappresentazioni del basilisco e del drago si presenterebbe in modo ancora mitico.
Nei sistemi esoterici il serpente Kundalini, avvinto alla base della colonna vertebrale, è il simbolo dell’energia vitale che bisogna risvegliare attraverso la meditazione.
Non si finirebbe mai di raccogliere simboli, funzioni, significati legati a questo animale.
Il serpente indica anche che in ciascuno di noi c’è la capacità di disporre del sangue freddo necessario per portare a termine un’azione istintiva.
Nel quadro dell’antico simbolismo indiano molto importanti sono i nagas, statue dalle sembianze di esseri umani con un corpo da serpente, una specie di creature semidivine preposte alla custodia dei tesori della terra e posti a sorvegliare la porta dei templi.
Secondo il mito di Garuda, l’uccello del Sole con le piume d’oro, (ci rammenta il grifone) i serpenti velenosi venivano straziati e uccisi col becco, nondimeno, insieme alla vacca e alla scimmia, il serpente era uno degli animali maggiormente venerati per la sua muta (simbolo della vita che si rigenera) e per la sua prossimità all’elemento acqua simbolo di fertilità.
In Cina si attribuisce un significato sessuale ai sogni in cui compaiono i serpenti: il corpo è associato al pene mentre la testa al pube femminile per la sua forma triangolare.
Nelle culture dell’Africa sudorientale, i serpenti boa personificano la pioggia e l’acqua in generale, in questo senso essi fanno spesso la loro comparsa – anche nei miti – come animali fantastici muniti di corna.
Adesso proveremo a dare uno sguardo alla psicologia del profondo:  nell’interpretazione il serpente è, come ogni altro rettile, un simbolo animale che risale alla preistoria della Terra e ai primordi della storia dell’umanità.
Abbiamo accennato a più riprese ai sogni di serpenti e abbiamo anche dato qualcuna tra le loro possibili interpretazioni. La frequenza con cui i serpenti tornano nei sogni, il momento qualche volta terrificante della loro apparizione con la peculiare tonalità che danno al sogno stesso, così come pure la profonda impressione che ne deriva e si prolunga anche nella fase diurna, lasciano supporre che il serpente sia un simbolo onirico importantissimo.
Ma per la mutevolezza, le forme, i colori, il serpente è sottratto ad ogni interpretazione sic et simpliciter  e sfugge completamente ad una comprensione puramente razionale.
Il serpente minaccia l’uomo col suo morso velenoso, è in grado di soffocarlo nelle sue potenti spire, i suoi movimenti sono silenziosi e sono rasenti il suolo. Non sono movimenti lineari, rettilinei, ma tortuosi, e ad essi l’animale ha trasmesso il suo nome: un torrente tortuoso, contorcersi come un serpente, ecc.
Questo animale è capace di rizzarsi, e il suo aspetto di drago a scaglie e lucido può assumere ogni specie di colore e di disegno. Dio ha fatto del serpente il nemico dell’uomo, e l’uomo ha molto presto notato che il serpente poteva liberarsi del suo vecchio abito e fare prodigiosamente ricomparire il suo corpo nuovo e flessibile. Quando si arrotola, sembra che la testa e la coda si congiungano in un anello stranamente vivo ma immobile.
Il serpente dei sogni costituisce evidentemente un’immagine che esprime forze molto primitive, che esplicano di per se stesse un effetto potente e duraturo. Esso è del resto un grande simbolo di energia psichica e l’esperienza psicologica consente continuamente di constatarlo.
Dunque, chi vede in sogno un serpente si imbatte in forze provenienti da profondità psichiche estranee alla sua coscienza razionale o, per dirlo in termini junghiani, alla psiche soggettiva; sono forze primordiali, archetipiche tanto quanto lo stesso animale preistorico.
Scrive Jung (op. cit) “L’apparizione del simbolo del serpente è sempre segno che nell’inconscio qualcosa di importante ha formato una costellazione” cioè si predispone a diventare operante. Questo aspetto così importante può essere pericoloso o salutare giacché il serpente è per sua natura ambivalente, astuto, e falso.
Qualche volta si notano serpenti aggrovigliati in un mucchio o sbucano d’improvviso da ogni parte, in questo caso indicano l’esistenza di grandi forze psichiche di cui non si è realizzata l’unità, una confusione di tendenze primitive che sussistono in alcuni strati della psiche. Il turbamento lo si può avvertire fin nel comportamento cosciente.
Può capitare che il serpente dei sogni abbia varie teste (come l’Idra di Ercole), che sottolinea un problema della vita che si è volutamente e pericolosamente suddiviso in molteplici aspetti.
L’energia vitale inconscia può essere animata da un movimento positivo e negativo, può estrovertersi, arrotolarsi come un serpente, mettersi in posizione di riposo apparente o vero, può attorcigliarsi in circolo, in ovale, posizione nella quale sembra mordersi la coda e costituisce un eterno circuito di energie vitali; è anche simbolo dell’infinito.
E concludiamo con i colori.
Capita, talvolta, che il sognatore sottolinei il colore del serpente o dei serpenti onirici. A questo punto bisognerà aggiungere anche il significato dei colori al contenuto simbolizzato dal serpente.
Il valore è particolarmente importante quando il serpente è d’oro o quando porta una corona dorata. In una fiaba tedesca si racconta di un re che mangia tutti i giorni un pezzo di serpente bianco per acquisire saggezza: in questo modo impara a capire la voce e a comprendere il senso di tutto il creato. Questo serpente bianco somiglia al serpente dello spirito, dal colore blu acciaio; emerge, come dice Aeppli (I sogni e la loro interpretazione, 1968) “dalle profondità dell’anima, da quel mondo degli archetipi autentici” e in un altro passo aggiunge: “…..questi sogni di serpenti non devono […….] far dimenticare che si tratta di una creatura estremamente vecchia. Indizio di contenuti biologici, psichici e spirituali particolarmente arcaici”.
Il serpente rosso indicherebbe soprattutto gli istinti sessuali, sono tipici dell’adolescenza maschile, talvolta può essere marrone come il colore della terra, talvolta si trasforma in fallo e diventa così l’organo creatore virile, capace di erezione. Nei giovani ragazzi conviene interpretarlo come forza sessuale vivente nel profondo. Invece nei sogni femminili dominati dall’angoscia, può essere il segno della paura di incontrare la sessualità maschile.
Serpenti rossi e neri o gialli e neri hanno qualcosa di profondamente inquietante e sembrano appartenere alla zona oscura. Sono un avvertimento per il sognatore il quale dovrà usare prudenza e saggezza nel  suo comportamento. Il serpente verde è quello della vegetazione ed è più inoffensivo. E’ un’allegoria della vita elementare e delle sue energie. Nero potrebbe indicare forze psichiche rimaste completamente nell’ombra.
L’altro significato più  in generale fa riferimento alla grande esperienza psichica della trasformazione interna, della rinascita, che ha trovato nella muta del serpente una rappresentazione allegorica particolarmente indicativa.
 Il serpente è il lato è il lato oscuro del P.P. è la sua Ombra.; noi abbiamo capito che il P.P. è un’espressione del lato infantile di Saint-Exupèry e sappiamo anche che l’autore aveva una qualche inclinazione ad assumere droghe come l’oppio, abbiamo analizzato il simbolismo del serpente (non esaustivamente ma quanto basta), e quindi possiamo azzardare una ipotesi: l’offerta del veleno, come la droga, è un modo di flirtare con la morte, è un invito  ad uscire di scena.
Similmente alla psicologia del tossicodipendente, si lega all’idea della morte laddove la realtà con le sue difficoltà diventa  il motivo di fuga. Perché dentro di loro permane un costante e infantile stato di insoddisfazione, sia verso se stessi sia verso la realtà nel suo complesso. Questo stato si combina con un malumore di tipo malinconico e dai tratti terribilmente depressivi.
Quel lato materno divorante, asfissiante, solo con droga, alcool, forse diventa possibile uscire dai conflitti devastanti che pervadono la vita dei Pueri Aeterni. E dal complesso Materno.
  L’incontro con la volpe

La creatura che il P.P. incontra  è una volpe che gli chiede di essere addomesticata da lui.
Questo incontro è importante perché la volpe insegna al bambino l’importante valore dell’ hic et nunc  e con esso il sentimento.
E’ il sentimento che dà valore al presente: senza di esso non è possibile stabilire alcuna relazione il qui e ora della situazione.
Il sentimento si porta dietro il senso della responsabilità, attraverso la quale noi tutti acquisiamo il senso della nostra individualità.
Al pari del serpente la volpe simboleggia una forza istintiva tipicamente umana si collega e lega all’origine,  e benché impersonata da un animale, appartiene all’intera umanità.
Inoltre la figura della volpe rappresenta il motivo dell’animale servizievole che insegna all’uomo come diventare umano in altri termini, gli insegna il processo di individuazione.

Nella mitologia e nelle allegorie medievale la volpe è vista  in negativo. Generalmente assunta a simbolo dell’astuzia, della scaltrezza, quasi sempre malvagia.
San Giovanni della Croce ne fa l’equivalente degli spiriti maligni.
E’ curioso scoprire che Cina e Giappone condividono con l’Occidente la credenza che la volpe ha il potere di trasformarsi in ogni sorta di esseri o di cose, specialmente in donna.
La volpe sarebbe l’esteriorizzazione di una strega o di una donna isterica se non addirittura la causa dell’isteria e dei disturbi psichici delle donne.
A tale proposito riporto la testimonianza di uno psichiatra tedesco tale Erwim Baelz, che nel 1910 si trovava a Tokio, gli capitò di esaminare un caso particolarmente interessante che in Giappone veniva catalogato con ‘sindrome della volpe’.  Baelz non conosceva le mitologie relative alla volpe, forse, essendo tedesco, solo credenze persistenti che le volpi fossero le anime delle streghe. Leggende e fiabe ne raccontano….ebbene, gli venne portata una contadina giapponese che aveva degli attacchi isterici. Quando era libera dagli attacchi era solo una grassa donna ignorante, di scarsa intelligenza; ma quando veniva colta dagli ‘attacchi della volpe’ si trasformava completamente. Diceva di sentire un gran dolore al petto: accusava un bisogno nervoso di abbaiare e lo faceva alla maniera delle volpi. Dopo di che, come riferisce Baelz, cadeva in uno stato simile alla trance e diventava chiaroveggente, raccontava agli psichiatri  di guardia tutto della loro vita privata, dei loro problemi matrimoniali e molte altre cose. Diventava assai acuta e intelligente e anche molto astuta. Dopo un pò si stancava, impallidiva, abbaiava ancora un pochino e si addormentava. Quando si risvegliava era di nuovo la solita donna ottusa.
Ora da un punto di vista psicopatologico, siamo in presenza di un caso tipico di doppia personalità – la strega-volpe e la contadina sciocca – ma appare assai interessante se collegato alla credenza locale che le volpi siano le anime delle streghe.
Il ruolo che la volpe svolge nei racconti, nelle superstizioni e nelle leggende in Cina e in Giappone, non è paragonabile a quello di altri animali, poiché è la sola che si può trasformare in uomo e che può pensare e riflettere come lui, ed ha il potere di predire il futuro prossimo.
Il ruolo della volpe nei racconti è di servir da specchio ai pensieri degli uomini, di scoprire i loro desideri più riposti e di far loro prendere coscienza della responsabilità dei propri atti.
 La volpe e il P.P. : un tentativo di costruire una relazione. Il bambino non comprende, infatti si limita a ripetere stentoreamente le parole dell’animale senza comprendere a fondo il significato di quanto le viene insegnato: la loro amicizia, qui sulla terra deve durare, ma nello stesso tempo egli ha degli obblighi verso la rosa che è sul suo piccolo asteroide.
Ma per fare questo egli dovrebbe entrare in conflitto perché ora ha un’amica in entrambi i pianeti, questo però non sembra minimamente sfiorarlo.
Da un punto di vista psicologico accettare il conflitto, cioè dire di sì alla volpe qui e sì alla rosa lassù, significa entrare in uno stadio psicologico adulto, dove il conflitto tra gli impegni verso le figure dell’inconscio e quelli della realtà umana è costante.
La vita è un impegno duplice, e la vita in se stessa è un conflitto, perché comporta sempre la collisione di due tendenze: questo è ciò che la rende piena.
Ma questa comprensione sfugge al P.P.
Così dopo che la volpe ha insegnato al bambino che la funzione del sentimento rende il rapporto unico e che lui, di conseguenza, è responsabile della sua rosa, il P.P. decide di tornare alla sua stella senza rendersi conto che adesso ha un legame anche con la volpe.

Lezione del 30 gennaio 2012
 Alcune riflessioni sul Sé
L’addio e conclusione del libro
  
Ci avviamo alla conclusione del libro, tuttavia prima di farlo sarà bene sottolineare un aspetto, fin qui trascurato, della figura del Puer.
Jung ha più volte descritto il Puer come simbolo del Sé; il P.P. è un simbolo del Sé e, al pari, è anche sorgente di vita. Come molti Fanciulli Divini della mitologia, egli possiede la sorgente  (v. il pozzo nel deserto), l’acqua della vita.
Le immagini remote umane, conservate nel nostro inconscio collettivo e sempre pronte ad essere utilizzate, contengono il germe ed il simbolo della vita presente e futura.
Aspetti antichi rivivono nei nostri sogni consentendoci di collegare il nostro presente con il nostro avvenire.
Il bambino rappresenta il flusso vitale e la possibilità del rinnovamento, il suo modo di vedere la vita è ingenuo, cioè senza sovrastrutture intellettualistiche. E’ anche il simbolo di un tesoro nascosto in un posto inverosimile che deve essere scoperto. E’ l’elemento che si fa strada nell’anima quando un nuovo aspetto si trova sul punto di conquistare, talvolta in modo doloroso, il posto che gli spetta.
Il bambino quale messaggero di una nuova salvezza, di una più profonda concezione della vita, costituisce una delle più antiche esperienze dell’umanità, sia in Oriente che in Occidente.
Quando ad esempio, un adulto sogna un bambino o una bambina, il significato da dare, ovviamente seguendo il contesto del sogno e le associazioni del sognatore, è connesso al principiare di una nuova impresa o progetto e ciò vale anche per quelle funzioni che sono rimaste poco sviluppate.
Dunque la nuova impresa, è legata alla funzione inferiore rimasta infantile e ancora completamente istintiva; attraverso essa è possibile il rinnovamento, perché è questa che conferisce un nuovo modo di vedere e un nuovo modo di sperimentare la vita nel momento in cui la funzione superiore si esaurisce, è questa che consente di gustare i piaceri, se pure ingenui, perduti assieme all’infanzia.
Può accadere molto più spesso di quanto non si immagini, l’incontro (nel sogno) con questo Bambino, da non confondere con quello che si intende correntemente con il vocabolo “bambino”, di solito è indice di una trasformazione dell’uomo quando questi asseconda ciò che dentro di lui sta tentando di prendere forma; l’allegoria del bambino non fa altro che rappresentare il divenire, le possibilità, la vicinanza degli strati creatori.
Dobbiamo ri-scoprire  e re-imparare il gioco, ma secondo le regole della quarta funzione: l’inferiore, vale a dire la sensazione.
Il P.P. ci ha trasportati in un mondo fantastico, ci ha permesso di incontrare la nostra funzione inferiore, quella legata alla nostra fanciullezza anche se fastidiosamente pungolava l’IO che con tanta razionalità voleva proseguire per la sua strada.
Jung (Aion: ricerche sul simbolismo del Sé-Opere vol IX 2) fa della relazione IO-Sé l’asse portante della sua concezione della Psiche, e ritiene che  “il Sé non è soltanto il centro, ma anche l’intero perimetro che abbraccia coscienza e inconscio insieme; è il centro di questa totalità, così come l’Io  è il centro della mente cosciente.”
Il Fanciullo è anche un simbolo unificatore delle parti separate o dissociate della personalità, e ancora una volta ha a che fare con lo stato di “ingenuità”. Se diamo credito alla nostra funzione inferiore, quella istintiva, e alla reazione che ne segue, allora salviamo la totalità: “siamo interamente nella situazione e interamente nella vita. Ma la maggior parte di noi, per la paura di esporsi troppo, non osa comportarsi in questo modo.” (M.L. von Franz- studi sul Fanciullo eterno). E’  quindi necessario trovare una buona dose di coraggio per esprimersi evitando al contempo di esporsi inutilmente.
“L’intelligenza è tanto necessaria quanto la spontaneità infantile.”(ibidem).
L’esperienza del Sé è l’esperienza del divino, difficile la comprensione da parte della “coscienza” di un Io ancorato alle sue spiegazioni razionali-scientifiche.
E’ una esperienza che non conosce tempo, in altri termini, è atemporale, luminosa, benevola e tuttavia di una severità terribile che rasenta l’implacabile spietatezza di una realtà essenziale che la nostra mente asservita al materialismo non contempla.
Purtroppo da adulti impariamo uno pseudo-adattamento e riteniamo che l’apprendimento di nozioni scolastiche e universitarie siano “i nostri pensieri” ed anche questi appartengono ad adattamenti pseudo-intellettuali:
Passiamo la nostra esistenza ad imparare a comportarci secondo convenzioni utili per ogni circostanza, perdendo la genuina spontaneità tipica dei fanciulli.
I bambini sono più vicini all’inconscio, proprio come i Pueri Aeterni; fanno esperienze eccitanti e travolgenti che trasmettono un grande e positivo senso di vitalità, nondimeno il problema è quello di non essere capaci a lasciarle andare e ne rimangono aggrappati.
Restano fermi nell’attesa e nella speranza che quella data, meravigliosa esperienza si ripeta,, questa è una disabilità che appartiene alla nevrosi del Puer Aeternus,  alla patologia narcisistica, e ad altre patologie simili.
L’esperienza del Sé non si ripete nella forma esperita ma torna a riproporsi in forme sempre diverse, riemergendo infine nei momenti in cui si è smesso di cercarla.
Perché, come dice von Franz, essendo un’esperienza che coinvolge la vita e il rinnovamento nonché il fluire della vita stessa, non può esservi ripetizione.
La nostalgia di quella esperienza spinge a volerla ripetere a tutti i costi, questo è veleno; non è perpetuandola, cioè fare in modo che si ripeta senza cambiare, che ci si avvicina, al contrario, più l’Io vuole il suo ritorno, più essa si allontana.
Il P.P. viene morso al tallone dal serpente –tipico motivo mitologico – sembrerebbe proporsi il tema della ferita mortale; appare anche strano che il bambino per ritornare sul suo pianetino debba morire, egli dice al suo amico aviere:
 “E’ troppo lontano. Non posso portare    appresso il mio corpo. E’ troppo pesante.”
La ferita può essere superata, solo in questo modo è possibile uscire dal conflitto infantile, solo in questo modo è possibile entrare nella vita adulta: ci sono ferite che uccidono e ferite che risanano, che guariscono.
L’Incontro tra il Sé e l’Io, il loro toccarsi, produce una ferita, ma chi dei due rimane ferito?
Entrambi rimangono danneggiati,se pure parzialmente: l’Io rimane ferito perché qualcosa di eccedente fa irruzione nella sua vita. Mentre il Sé subisce una ferita quando diventa una realtà parziale perdendo la sua totalità potenziale.
Jung sosteneva che il processo di individuazione comporta una grande sofferenza legata ad una terribile ferita. Una profonda lacerazione
La malinconia per l’approssimarsi dell’addio si rivela nelle ultime pagine e in particolare dall’ultimo disegno, così grigio, privo di vitalità e di colore.
Il bambino, pieno di nostalgia, dopo l’incontro con la volpe che gli aveva insegnato il valore della relazione, desidera ri-tornare alla sua rosa lasciata sola sull’Asteroide; non c’è riflessione sul fatto che sulla terra ha stabilito dei legami emotivi (la volpe e l’aviere), non c’è comprensione e consapevolezza del distacco, c’è solo l’illusione di un passato cui ritornare, i legami intrattenuti sulla terra possono essere recisi senza che affiori il sentimento.
Ricorda l’offerta del serpente e gli sembra una soluzione facile anche se ciò comporta la sua morte, anche in questo caso non c’è consapevolezza, egli è convinto che la sua sarà solo una morte apparente; al serpente, dunque, si rivolge per essere rimandato sulla sua stella.
La sua esperienza su questo pianeta è giunta al termine: la fine è parte integrante dell’esperienza stessa.
Il P.P. saluta l’aviere con la promessa di guardare le stelle, in un ulteriore gioco di illusioni nel quale la relazione consiste nell’alzare gli occhi sulla volta celeste e sarà come essere insieme. 
Dr.ssa Donatella Steck

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