mercoledì 13 giugno 2012

Il peso della Farfalla di Erri De Luca

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Lavoro di analisi effettuato coralmente con il gruppo discenti Upter nel corso delle lezioni AA 2011-2012



Donatella Steck
Dottore in Psicologia Clinica-Psicoterapeuta
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Lezione 13 febbraio 2012

Suggerisco di leggere questo libro, oltre per il simbolismo che affiora con la leggerezza di una farfalla, principalmente per la “metrica” con cui è scritto che assorbe senza che ci si renda conto del tempo, e per la profondità dei ragionamenti che l'autore fa, tra sé e sé. "rivelando verità innegabili sul senso della vita, in generale e in particolare, come si 'incrocia' con l'individuo". (Vittoria).
E' come vedere un film più che leggere il libro. Le immagini si affacciano potenti e incisive.
Il tema che ritorna è quello della solitudine: del camoscio e dell'uomo, due vite che si intrecciano fino al compiersi di un destino naturale.
L'autore è un uomo che ama e conosce molto bene la montagna. E' un alpinista assuefatto agli odori, ai colori, ai pericoli e alla perfetta armonia della montagna.
De Luca ha scritto pagine che invitano a meditare, a riflettere, che sembrano giungere da una storia vera: quella di Franco Miotto.
Chiamato il "re dei viaz" (i viaz sono i sentieri aerei sulle montagne bellunesi, sembra che soltanto Miotto e i camosci conoscono molto bene), Franco Miotto è un uomo che quando abbatté il più bel camoscio che mai avesse visto prima, un re delle alte vette bellunesi, comprese la parte più triste del vivere: niente resta come prima dopo aver realizzato un sogno.
Una scrittrice, Luisa Mandrino in "La forza della natura ", 2002, aveva descritto e raccontato in stile romanzesco, la vita di Franco Miotto.
Questi era il re della caccia, ma di punto in bianco decise di lasciarla; si capisce che la decisione è la conseguenza della morte che lui aveva dato al più bell'esemplare di camoscio mai incontrato nella sua lunga storia di cacciatore.
"Fu un tuffo al cuore, forte e disperato e quel colpo appena sparato perse il suo valore e la sua precisione e sembrò all'improvviso, odioso e tirato a caso, Franco sentì di essere fuori posto, come se si fosse impadronito di un sogno altrui. Tutto quel che non aveva mai visto fu chiaro in quel momento." (Luisa Mandrino, ibidem).
Così, anche per il cacciatore di De Luca: "Niente aveva capito di quel presente che era già perduto. In quel punto finì anche per lui la caccia, non avrebbe sparato ad altre bestie. Il presente è la sola conoscenza che serve. L'uomo non ci sa  stare nel presente".
Nel suo racconto De Luca ci offre l’occasione di apprendere la lingua del camoscio e della natura circostante, della montagna, del bosco di larici, delle lotte per la sopravvivenza, di un mondo troppo in anticipo dimenticato dalla ragione calcolante che usa strategie e tattiche.
Il re dei camosci si muove fiutando l’aria, riconoscendo in anticipo rispetto all’animale uomo, gli odori che si imprimono in lui, marchi di riconoscimento del pericolo, dell’allerta.
Si sposta negli anfratti della montagna, impennato sui pendii vertiginosi o improvvisamente sospeso nell’atto di un salto sul picco di una roccia inaccessibile  all’altro, che impropriamente condivide il titolo:  il cacciatore re dei camosci.
Il camoscio è forte, potente, si muove sfruttando la forza del vento di montagna, si aggira sugli alti pianori, schizza su strapiombi,  si dilegua, osserva saldato sullo sbalzo di uno spuntone di roccia, i pratoni sotto di lui dove le femmine e i piccoli nati a primavera, e i giovani maschi – uno di loro lo spodesterà – sono al pascolo.
Molto volentieri sosta lontano, non lo vedi, si nasconde alla vista, rimane immobile poi scompare dentro l’entrata di una caverna, luogo inaccessibile all’uomo.
Il bracconiere e la sua cecità. Anche lui come il camoscio ha fondato la sua esistenza sulla forza, sulla potenza e sulla sua abilità nello scalare la montagna, nel coprire il suo odore (le tracce dell’uomo), nel sapere attendere. Contrariamente all’animale egli è svantaggiato perché la montagna non è il suo habitat naturale e la sua sopravvivenza dipende dall’abilità nell’attuare strategie e tattiche.
L’uomo e l’animale si fiutano, si conoscono e ri-conoscono,  al loro modo si rispettano, si scrutano rimanendo a distanza fino a quel giorno di novembre in cui  l’ultimo duello li inchioderà saldando i corpi in un abbraccio finale e sotto lo sguardo immobile della montagna testimone della conclusione di due destini diversi eppure uguali.
E’ il compiersi di un destino naturale: si chiude, al ritmo della natura, un ciclo.
E poi il tempo. La ciclicità. Il ritmo. La comparsa rapsodica (non solo nell’accezione di poetica, anche nel significato di irregolare, discontinuo, come il volo della farfalla) di una farfalla.
Nel racconto, come nel sogno, la ricca simbologia ci aiuta ad abbattere le barriere del pensiero geometrico, del bisogno e dell’esistenza perentori del fatto, dell’esistenza di un soggetto e di un oggetto, di un linguaggio soverchiante e ridondante.
La natura è il dominio della libera manifestazione della relazione, non simmetrica, non lineare, non circolare.
La natura è la dimensione in cui trova libertà di apparizione e di espressione il miracolo della vita.
Dr.ssa Donatella Steck
 Lezione del 20 febbraio 2012
 Sin dalle prime battute del racconto, ci troviamo di fronte ad alcune pennellate stilistiche che richiamano immagini potenti alla nostra mente. E’ come venire trasportati in un’epoca antica eppure presente in quanto sembra essersi iscritta nel nostro DNA.
Come in un teatro antico, seduti nella cavea  assistiamo allo svolgersi di un dramma.
Tutto intorno, a cielo aperto, la Natura, con la flora e la fauna, "è il Coro privilegiato messo a nostra disposizione".(Pietro)
Immersi nel racconto diventiamo un tutt’uno col paesaggio  e l’atmosfera emotiva.
Strano a dirsi ma ci schieriamo dalla parte del camoscio e del suo ambiente, proviamo una "sensazione di fastidiosa irritazione nei confronti del bracconiere" (Anna), esultiamo quando l’astuzia dell’animale la fa in barba al’uomo, proviamo sofferenza quando la pallottola del fucile uccide la madre dei camosci ancora cuccioli, lasciandoli privi di sostegno, protezione, nutrimento, regole.
La Sensazione, facoltà essenziale per conoscere la realtà esterna ed interna non è solo legata a connessioni nervose, sinapsi, dendriti, è anche frutto di esperienza e di apprendimento.
Ciò vale per tutti gli esseri viventi.
Il primo contatto-esperienza che il camoscio ha dell’uomo si lega all’Odorato; le sue giovani narici si impregnano dell’odore pungente ed acre della polvere da sparo e di quello dell’uomo: prima traccia di un corpo estraneo che entra nella sua esistenza e resterà indelebile.
I cuccioli d’uomo non sono dissimili. Gli organi di senso e il loro funzionamento servono a fare sì che l’informazione proveniente dall’esterno si traduca in conoscenza della realtà e, in caso di pericolo, ad attivare opportuni meccanismi di difesa .
Essi sono la nostra stessa esistenza e rimarranno (salvo eventuali patologie) attivi per tutto l’arco della nostra vita. Sono connessi alla vita istintuale primaria, in ciò identici a tutti gli animali (inferiori e superiori), ma l’uomo, avendo sviluppato il pensiero razionalizzante se ne discosta perdendo contatto con una fonte originaria di informazioni il che corrisponde a malattie esistenziali, insoddisfazioni, nevrosi.
I cinque sensi ci sono noti: olfatto, vista, tatto, udito, gusto, più propriamente sono definiti esterni; quanto percepiamo dell’esterno ha risonanza interna non solo corporea, è ciò che di solito ci spinge a parlare di “vissuto” interno. I sensi ci mettono in contatto con il mondo e a comportarci di conseguenza. I cinque sensi sono il nostro presente,  collegati ad organi corporei, sono il radar che ci guida a muoverci nel mondo, sono il filo conduttore che mette in relazione corpo umano e apparato psichico, il simbolismo è particolare e riflette ciò che noi siamo, mettono a nudo le nostre imperfezioni, cioè la nostra essenza psichica con i suoi difetti.
Il camoscio, così come tutto il mondo circostante, è al riparo nel suo “guscio” protetto della sua istintività.
I sensi sono la testimonianza della nostra natura animale:
Il naso (olfatto) serve per “fiutare l’aria”, “fiutare un pericolo”, un modo per “odorare” la realtà, per riconoscere un amico da un nemico; è l’odore della madre che indirizza il bambino ad avvicinarsi al suo (non un altro) capezzolo per succhiare il latte. Sono gli stimoli olfattivi che guidano l’animale a ispezionare la realtà circostante, odori che noi uomini non riusciamo a cogliere.
Gli occhi (vista) per “guardarsi intorno”, osservare l’ambiente circostante e “coglierne anomalie”, un “movimento insolito”, distinguere la luce dal buio, danno nascita al mondo, questo, infatti, diventa percettibile, diventa realtà. Alcuni animali, contrariamente all’uomo, riescono a vedere raggi ultravioletti.
Le orecchie (udito), sono fondamentali, ma diversamente dagli animali noi non riusciamo a sentire tutti i suoni possibili, per esempio, quelli troppo acuti, gli ultrasuoni; anche l’udito è un modo di “vedere” la realtà, basti pensare ai pipistrelli.
La bocca (con la lingua e le papille gustative- gusto), “assaporare” la realtà, “riconoscere”  il dolce, il salato, l’amaro, l’acidulo. Su questa base ogni essere vivente è in grado di valutare e riconoscere, apprezzare, la gamma di diversi sapori.
La pelle (tatto) è una vasta superficie del nostro corpo, è il confine tra il dentro e il fuori, tra il me e il non me. “toccare la realtà” significa saggiarla, percepirla,il tatto ci dice se una superficie è ruvida o liscia, calda o fredda, accarezziamo o feriamo, entriamo nel corpo dell’altro tagliando lo strato protettivo: la pelle.
Il camoscio uccide il rivale entrando con il suo corno uncinato nel sottopancia provocando uno squarcio nel corpo, penetrando nella sua pelle.
I cinque sensi seguono un tempo e un ritmo , è una danza di connessioni, intrecci, fili conduttori, insieme lavorano per fornire un adeguato adattamento nel mondo.
 In conclusione:
Le nostre sensazioni, spesso bistratate, e poco “ascoltate” isolate persino da noi stessi, questo stato di cose ci rende ciechi, sordi, perdiamo il gusto della vita, l’olfatto è grossolano, la sensibilità del tatto quasi scomparsa. La solitudine è una prigione costruita dall’uomo.
La sua corsa all’oro di un’intera vita, sempre proiettato in avanti o indietro e mai centrato sul momento, la smania di possesso insita alla consapevolezza di essere superiore ad ogni altra “cosa” gli lascia solo brevi sprazzi di lucidità su ciò che è davvero fondante nella vita, sprazzi relegati a momenti di “crisi” personale nei quali, riconoscersi l’animale meno umano, potrebbe servirgli da sprone a ricollegarsi con quegli elementi relegati in uno spazio angusto, buio, umido il più possibile lontano da sé.
Nondimeno se soltanto ci fermassimo al centro della scena, a pensare a quanto siano importanti i passaggi esistenziali: sono quelli che ci permettono di andare e venire nel tempo e nello spazio pur rimanendo fermi, seduti in poltrona, sprofondati nel divano, sdraiati nel letto, se soltanto recuperassimo quelle sensazioni che da piccoli rappresentavano il nostro mondo reale!
Passato e presente si intrecciano, linee sottili che ricamano il nostro destino, le nostre esperienze, la nostra coscienza.
 Il Bracconiere è la rappresentazione di un certo tipo di uomo, il camoscio è per certi versi la sua parte inferiore, il suo controaltare.
Il tempo del cacciatore è il tempo premeditato, che ha un termine, è contrassegnato da una prerogativa mortale.
Il camoscio è al centro del ciclo vitale: questo è il suo tempo. 
Dr.ssa Donatella Steck
 Lezione 27 febbraio 2012
 E’ un mattino  freddo di novembre quello che vedrà i due “re” dei camosci andare incontro all’ultima stagione dei rispettivi regni.
Entrambi sembra abbiano fondato la loro esistenza sulla forza, sull’abilità specifica di sopravvivere alle situazioni più estreme (per il bracconiere in misura maggiore rispetto al camoscio), e su un istinto primordiale che li porta a conoscere il mondo della montagna.
Per l’animale è il suo mondo, lo conosce  in maniera naturale, esso appartiene a quell’ambiente; per l’uomo l’adattamento è stato ed è molto più difficile, soltanto con le strategie egli riesce ad aggirare gli ostacoli, a superare i limiti.
E’ il mattino in cui animale e uomo sentono giunto il momento in cui si concluderà la loro esperienza di vita e di dominio sulle vicende delle loro esistenze.
Colpisce la profondità dei ragionamenti che l'uomo fa tra sé e sé, sulla sua solitudine, sul senso della vita, appare strano per un bracconiere, sempre dedito all’arricchimento e al possesso, ma oggi egli sa.
Il camoscio osservando le femmine e i giovani maschi sa che uno dei suoi figli lo spodesterà.
L’uomo e l’animale si conoscono bene, si riconoscono e, a loro modo, si rispettano; entrambi hanno il fiuto fine, riconoscono l’odore l’uno dell’altro, si scrutano a distanza e si combattono con astuzia e intelligenza: due figure inchiodate al destino e al ritmo della montagna.
Oggi è il giorno dell’ultimo incontro e dell’ultimo duello.
Nel racconto si incontra una farfalla, compare e scompare, appare qua e là in piccoli scorci episodici quasi marginali; poche righe inserite di tanto in tanto nella narrazione, come un volo in apparenza privo di direzione.
Occorre però credere che l’autore abbia voluto assegnare a questi brevi accenni grande rilevanza se vengono condensati nel titolo dato al racconto.
 Il peso simbolico.
 Il mattino è l’inizio dell’esistenza, della prima parte dell’esistenza, ma questo è il mattino della presa di coscienza, della chiarezza che indica il compiersi di un ciclo.
Sospeso nell’aria il camoscio sorpassa la testa dell’uomo, il movimento smuove l’aria, un battito d’ali e il bracconiere si gira, imbraccia il fucile e la pallottola schizza veloce e raggiunge il bersaglio.
Per il cacciatore, tutto quel che non aveva mai visto divenne chiaro all’improvviso.
Guardando il più bel camoscio abbattuto rimase incredulo di fronte alla scena che si presenta ai suoi occhi: prima le femmine con gli ultimi nati in primavera, poi i giovani maschi, si piegano rendendo omaggio al loro re, non mostrando timore, quasi indifferenti della  presenza dell’uomo, importa solo l’ultimo saluto a chi ha dato loro la vita. Quaranta occhi di camosci sopravvissuti che non avevano paura, guardarono il bracconiere e uno alla volta resero onore al più magnifico camoscio mai esistito.
Anche l’uomo non poteva lasciare quella carcassa alla voracità dei predatori, decise di seppellire quel corpo, caricandoselo sulle spalle e cadendo sotto il suo peso.
In primavera un boscaiolo li trovò abbracciati nell’attimo finale di due vite diverse eppure per certi versi uguali.
Nessuna tristezza né malinconia nella fine di queste due vite, una farfalla bianca testimonia un ciclo giunto al suo termine.
La visione della farfalla posata sul muso del camoscio e sul fucile del bracconiere, come il peso della vita di ciascuno, delle azioni, del pensiero, su di un mondo che esiste da prima che arrivasse l'uomo e che l'uomo dovrebbe abitare con rispetto anziché cercare, sempre, di possederlo.
La farfalla è un insetto che compie metamorfosi passando da una forma all’altra:bruco, crisalide, farfalla.
Allegoria e simbolo della Psiche (C.G. Jung) indica l’anima, spesso viene rappresentata posta sulla testa di una persona morta.
Il volo della farfalla è spezzettato con ghirigori, angoli e spirali. E’ un insetto leggero, spirituale; spesso collegata a immagini oniriche e della fantasia.
Il miracolo delle sue metamorfosi ha profondamente turbato l’uomo, per questo la delicata farfalla è divenuta allegoria e simbolo delle sue trasformazioni psichiche fornendogli inoltre la speranza di liberarsi un giorno delle contingenze terrestri e accedere alle regioni eteree d’una luce eterna.

Cornacchia. Dal punto di vista simbolico non viene distinta dal corvo. In origine il suo piumaggio era bianco, poi una maledizione del dio Apollo rese le sue piume nere come la pece.
Impressionano, al pari dei corvi, per il colore nero e per il loro gracchiare lugubre, l’attrazione per le carogne. Sorvolano i cadaveri sul campo nel giorno successivo la battaglia. Astute, diffidenti, accorte, sfruttano il volo potente e alto.
Per la loro lunga vita sono indicate simbolicamente, come saggezza dovuta alla conoscenza e alla esperienza.
Psichicamente  rappresentano le forze vive che scaturiscono dalle tenebre dell’inconscio, da cui può uscire tanto il meglio quanto il peggio.
Messaggere superiori mandate dall’inconscio, possono rappresentare l’espressione oscura del pensiero sinistro, delle idee nere, che assalgono improvvise impregnando l’atteggiamento conscio in relazione a uno scorretto adattamento psichico.
Dr.ssa Donatella Steck
 Lezione 5 marzo 2012
 Come richiesto ecco alcune precisazioni e chiarimenti su figure simboliche.
 Uccelli: cioè l’anima umana.
 Gli uccelli sono  un tema ricorrente dal contenuto ricchissimo di simbolismo; il loro volo li predispongono a fare da simboli ai rapporti tra cielo e terra. Rappresentano l’anima nella sua natura aerea.
L’anima umana, privata del corpo, è spesso rappresentata in figura di uccello o come uccello dalla testa di uomo che nell’antico mondo egizio veniva chiamata Ba.
Nel taoismo il significato degli uccelli viene trasposto nelle figure che gli Immortali assumono per esprimere la Leggerezza, la Liberazione dalla pesantezza terrestre.
Sono Otto gli Immortali che appaiono sotto sembianze di uccelli per significare il superamento delle contingenze terrene, spaziali e temporali.
L’uccello in generale è la figura dell’anima che sfugge dal corpo o dalle funzioni intellettuali come dice il Rig Veda: l’intelligenza è il più rapido degli uccelli.
Il Rig Veda raccoglie i più antichi documenti dello spirito umano, definiti la Scienza Sacra.
Abbiamo reperti preistorici, i disegni delle grotte di Altamira e di Lascaux, di uomini-uccello che sono stati interpretati come volo dell’anima o volo estatico dello sciamano.
Diversi sono i significati che vengono attribuiti agli uccelli, e a questo proposito sottolineo che le sfumature si collegano alle varie specie di uccelli.
Liberati dalla pesantezza essi rappresentano la trascendenza, l’immaterialità, il distacco dall’involucro corporeo che ancòra l’individuo alla terra, figurativamente rinviano all’immagine dell’elevazione, degli stadi superiori di coscienza, alla spiritualità.
Rappresentando gli stati spirituali sono accostati agli angeli altro simbolo degli stati superiori dell’essere. Anche nell’Islam gli uccelli sono simboli degli angeli.
Numerosi sono gli uccelli azzurri descritti nella letteratura cinese (epoca di Han); sarebbero delle fate, dei messaggeri celesti. Il Caos è rappresentato da un uccello giallo e rosso come una palla di fuoco, non ha volto, è dotato di sei zampe e quattro ali, è in grado di cantare e di ballare, ma non di mangiare e di respirare. Gli antichi cinesi coglievano un segno rivelatore quando un uccello arrivava a distruggere il suo nido, annunciava disordine e agitazione dell’Impero.
Nella civiltà celtica l’uccello, in generale, è il messaggero o l’ausiliario degli dèi e del Mondo dell’al di là: in Irlanda, cigno; gru, airone in Gallia; l’oca in Gran Bretagna, il corvo, lo scricciolo o la gallina.
Solitamente l’uccello è opposto al serpente in quanto simbolo del mondo celeste in opposizione al mondo terrestre.
Dr.ssa Donatella Steck - Gruppo discenti Upter

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lunedì 19 marzo 2012

FIABE-2

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 26 marzo 2012
  
Fiabe (2)  Cenerentola

Jung ha scritto che le fiabe/favole/leggende permettono una lettura particolare volta a studiare meglio l’anatomia della psiche. Sono la rivelazione nitida ed elementare dei processi psichici dell’inconscio collettivo; esse  mostrano in forma semplice e concisa gli archetipi.
Nelle fiabe, così come nelle leggende, nei racconti fantastici, troviamo tutti gli elementi che ci servono per rendere fruibili le esperienze di vita in essi contenuti. Lo stesso accade, per esempio, nei sogni.
Quando sogniamo la nostra psiche è all’opera, tesse la tela del racconto prendendo tutti gli elementi ad essa utili per riempire e completare il disegno che apparirà sulla tela. Ogni sogno è un pò come una fiaba. A noi spetta portare alla luce la trama – con le associazioni- nella quale le immagini archetipiche sono avviluppate.
Si nota, se ci prendessimo il piacere di leggere qualche favola, il simbolismo degli animali, degli oggetti, dei numeri, perfino dei gesti (ormai appartenenti ad un mondo dimenticato in una società sempre più smemorata), che trovano una spiegazione carica di significati in grado di parlare alla nostra sensibilità.
Le fiabe in cui compaiono animali – preferite di gran lunga dai più piccini – bisogna tenere presente che sono esseri antropomorfi, sono esseri simbolici perché gli animali sono portatori delle proiezioni di fattori psichici umani.
Sono descritti con forme umane ma rappresentano le tendenze umane archetipiche; sono umani perché in fin dei conti non rappresentano gli istinti animali, ma i nostri istinti animali (M.L. von Franz, Fiabe, miti e altre storie archetipiche, 1990)  per questo motivo sono realmente antropomorfi.
Occorre evidenziare che esiste una differenza tra fiabe e miti, leggende e racconti fantastici. Marie L.von Franz,  allieva e collaboratrice  di Jung, è stata una delle personalità di spicco che si è cimentata nello studio e nell’analisi delle fiabe.  Ecco cosa dice in merito:
“….nei miti, nelle leggende, o in qualunque altro materiale mitologico più elaborato, noi scopriamo i modelli fondamentali della psiche umana rivestiti di elementi culturali, nelle fiabe [invece] il materiale culturale specificamente cosciente è presente in misura molto minore; esse riflettono, perciò, più chiaramente i modelli fondamentali della psiche.”.
Propongo, con l’aiuto di alcune linee-guida, una comparazione fiabe-sogni-archetipi e, attraverso queste, entrare in una dimensione”altra” ricordando che il racconto si svolge in un mondo immaginario e che i personaggi e i fatti che accadono appartengono a un luogo e a un tempo nel quale domina l’inconscio. E’ un fluttuare tra coscienza e inconscio.
·         >  Nella fiaba, nel mito, nei sogni, i personaggi sono poco definiti.
·         >  Il tema, o il motivo centrale, lo si può incontrare un po’ ovunque.
·      >  La dimensione temporale: “C’era una volta” corrisponde all’illud tempus”, ovvero atemporale  
·  .       >  Esiste un mondo altro, cioè il mondo dei simboli
·         >  Si trova una varietà sorprendente di personaggi, situazioni “strane”, incantesimi.
·         >  E’ presente sempre una coppia (genitori)
·         >  Una nascita straordinaria
·         >   Nascita morte rinascita
·         >  Tutti gli aspetti irrazionali ci dicono che non abbiamo a che fare con esseri umani ma  con contenuti psichici.
·         >  Come i sogni e i Miti si deve collegare con la situazione psicologica reale che ne è alla base
·         >  Tutti i personaggi sono immagini di processi archetipici
La Fiaba, come i Miti, le leggende, i Sogni, si colloca in un tempo che non ha le caratteristiche di come noi lo intendiamo. E’ il tempo che gli antichi Greci definivano Aion un tempo sacro, divino.
L’Illud Tempus lo scopriamo nell’incipit “C’era una volta” che rimanda a un tempo primigenio, atemporale, archetipico esattamente come nei sogni e nei miti.
Ci troviamo in presenza di personaggi diversi:
Re, Regina, Strega, Fata, Drago, Orco, Rana, Rospo, Principe, Principessa, ecc. fatta una comparazione scopriamo nei Miti: Dei, Dee, Giganti, Titani, Eroi, Semidei.
Nei sogni: Il protagonista, eroe, eroina, assassino, ladro, predoni,  ecc.
Proseguendo con le comparazioni vediamo che ci sono altri collegamenti: la Trasmissione è orale.
Per quanto riguarda la Dimensione ci troviamo in presenza di una Dimensione Simbolica. Il simbolo è lo strumento attraverso il quale si scopre e si stabilisce una relazione fra le realtà che sono pluridimensionali.
Inoltre il simbolo è sintesi di contrari e contiene un aspetto diurno contrapposto a quello notturno, in una “strana” (ma non troppo) coesistenza a connotazione positiva/negativa.
Le versioni sono diverse perché provengono dal folklore dei paesi in cui le fiabe hanno origine; i miti sono diversi perché emigrano e si integrano con altre culture; i sogni sono diversi per via delle componenti individuali e collettive.
Nonostante ciò i Temi sono Comuni.
Infatti, c’è il tema della:
> ricerca (la principessa, un determinato oggetto magico),
> liberazione di una figura femminile, che scompare, o è prigioniera o muore.
> Rinascita
> Maturazione sessuale e spirituale
Le interpretazioni sono diverse: Psicoanalitica, sociologica, etnologica, alchemica, ecc.
Gli eroi, le eroine e altri personaggi sono rappresentazioni che suggeriscono la presenza di un processo evolutivo per una crescita individuale che coincide con il processo di individuazione.
Non è un  percorso semplice, tutt’altro. Il processo di individuazione inizia con una lacerazione della personalità e con una sofferenza che conducono alla presa di coscienza con il proprio centro interiore o Sé.  D’altra parte è un percorso ci differenziazione che ha per meta lo sviluppo della personalità individuale; contemporaneamente avviene un ulteriore processo: l’Interiorizzazione progressiva, segno crescente di una individualizzazione per un maggiore sviluppo della coscienza.
Per avvicinarsi e scoprire il significato di una fiaba è utile tenere a mente che, come il sogno, fiabe e miti e leggende sono la migliore espressione possibile di avvenimenti interiori.
Perciò come si usa fare di solito quando si va a tradurre un sogno, bisogna dividere la storia nei suoi diversi aspetti partendo con
1)     l’introduzione che riguarda solitamente Tempo e Luogo  nelle fiabe sono sempre indicati dalla frase: “C’era una volta, in un luogo lontano….”  , o “Tanto tempo fa, in un castello…”, quasi a voler indicare che le fiabe si collocano fuori dal  tempo e dallo spazio “il ‘nessun luogo’ dell’inconscio collettivo” (M.L. von Franz, cit.).
2)      i Personaggi della fiaba; è importante tenere presente il numero dei personaggi sia all’inizio sia alla fine della storia, se c’è un’assenza (padre/madre), come finisce: uno dei figli (di solito l’eroe) e la sua sposa, ecc.
3)      Esposizione del racconto o del problema; si può presentare come, una regina che non poteva avere bambini (La Bella addormentata), o un re vecchio e malato che deve lasciare il suo regno ad uno dei figli (Le tre piume). Si noterà che all’inizio del racconto vi sono sempre delle difficoltà, d’altra parte le fiabe hanno la funzione di trasmettere che problemi, difficoltà e disagi vanno affrontati.
4)      La peripezia; ci sono sempre degli ostacoli da superare, alti e bassi, pericoli, ecc.
5)      Culmine della tensione; nel racconto si arriva al punto decisivo nel quale la vicenda si sviluppa e si risolve, un esito finale che si verifica sempre. Talvolta la conclusione si presenta in forma ambigua.
6)      Amplificazione dei simboli,
7)      Interpretazione; tappa essenziale che consiste nel tradurre il racconto in linguaggio psicologico.
 Le fiabe hanno effetto vivificante e l’interpretazione psicologica conduce ad una sensazione di benessere e rinnovamento che scaturiscono dalla comprensione delle immagini archetipiche.  

Cenerentola

La storia di Cenerentola ha origini molto lontane ed ha diverse versioni per lo più in trasmissione orale: sembra che la prima forma scritta risalga al IX secolo a.C. in Cina.
In Egitto si raccontava la storia di una bellissima cortigiana, Rodope, alla quale mentre faceva il bagno un’aquila rubò un sandalo che giunse nelle mani di un principe; questi, vedendo la finezza dei ricami e la graziosa piccola forma desiderò conoscere  chi avesse un piedino tanto minuto. Così ci arriva la storia da Strabone. Senza dubbio è da qui che trae ispirazione la più moderna Fiaba della fanciulla relegata nelle stanze inferiori al ruolo di sguattera.
Ma c’è la novella di GB Basile – Gatta Cenerentola – che narra di come Zezolla (Cenerentola) si libera della matrigna e favorisce il matrimonio della sua istitutrice con il proprio padre e di come la sua adorata istitutrice che aveva tre figlie, giorno dopo giorno allontani la fanciulla fino a spingerla verso i piani bassi della servitù. In seguito Zezolla si riscatterà sposando il principe grazie al suo piedino e alla impareggiabile bellezza della scarpina persa.
Nella favola di Cenerentola si evidenziano i temi della rivalità fraterna, con conseguenti angosce, la speranza di riscatto, e soprattutto l’identità femminile.
Per quanto riguarda il tema della rivalità si hanno esempi biblici: Caino/Abele, Esau/Giacobbe, che evidenziano la distruzione di un fratello ad opera di un altro.
Nella Fiaba dei fratelli Grimm, come in quella di Perrault, questa distruzione è rappresentata dall’umiliazione subita dalla fanciulla ad opera delle sorellastre. Nella fiaba dei fratelli Grimm, però, si colgono echi di un antico racconto in cui Aschenputtel era un ragazzo “cenerentolo” in seguito divenuto re.
Vivere in mezzo alla cenere è un’espressione che denota una condizione di inferiorità, inadeguatezza e sottomissione a cui Cenerentola è posta: essa fu costretta a vivere in mezzo alla cenere ma questo ha un significato importante e non è un dettaglio di poco conto.
Se ci fermiamo alla superficie allora non c’è complessità, perché molto sbrigativamente risolviamo la cosa dicendo che è la rappresentazione di umiliazioni, di declassamento da una posizione di prestigio di cui essa beneficiava in una posizione di umile sguattera.
Ma se torniamo indietro nel tempo e operiamo una equiparazione con il mito, occuparsi del focolare era una posizione importante, addirittura desiderabile - custodi del focolare erano le vergini vestali – era una carica  prestigiosa cui una donna potesse aspirare.
Nell’Antica Roma le bambine venivano scelte nell’età che andava dai sei ai dieci anni, diciamo all’incirca l’età della nostra eroina. Essere una vergine vestale significava essere guardiana del focolare. Dopo avere svolto con onore il loro ruolo, queste fanciulle, divenute donne, facevano matrimoni prestigiosi.
La purezza delle sacerdotesse custodi e responsabili del fuoco sacro (il fuoco stesso è elemento di purificazione), hanno riferimenti anche nelle ceneri, in molte società antiche, infatti, le ceneri erano usate per le abluzioni, come un mezzo per purificarsi.
Altra implicazione delle ceneri si collega al lutto: il giorno delle Ceneri >ci si cosparge il capo; nell’Odissea viene narrato l’atto di sedersi fra le ceneri in segno di cordoglio ed era praticato da molti popoli (James Hastings- Ashes – cit. in B.Bettelheim-il Mondo incantato), in seguito i richiami alla purezza, al lutto, si sono trasformati nei significati di sporcizia e straccioneria.
Nei racconti moderni, l’accento viene posto sulla rivalità/ostilità nutrita dalle sorelle.
Le diverse versioni aiutano a comprendere quanto il tema della rivalità sia così presente nella vita del Bambino/a e quanto sia un archetipo universale dell’inconscio collettivo: Armonia opposta ad Animosità ed è per questo motivo che si assiste alla trasformazione delle sorelle in sorellastre, dei fratelli in fratellastri, della madre in matrigna o in strega, del padre in orco.
La rivalità si riferisce a una costellazione complessa di sentimenti e sulle loro cause espressione di come, nelle diverse epoche dello sviluppo del bambino/a, le figure della madre e dei fratelli vengano scisse,  per proiezione di sentimenti ostili, anche se appartengono alle stesse persone.
Solo attraverso l’assimilazione degli aspetti negativi rimossi e degli aspetti positivi giacenti nell’Ombra,  il bambino/a può ricongiungere le figure scisse in figure intere, in un processo interiore che ha luogo ogni qualvolta l’energia psichica lotta per superare ostacoli, difficoltà,  per conquistare un rinnovamento.
Il/la Bambino/a si trova ad esperire sentimenti opposti: talvolta si sente spregevole e sporco, pieno di odio nei confronti dei genitori e dei fratelli, immediatamente dopo è l’innocente maltrattato da creature malvagie.
Al di là di quelle che possano essere le condizioni esterne, ciò che importa è che questi anni si connettono ad un periodo di sofferenza interiore, privazione, esperienze fatte di incomprensioni, di solitudine, di emarginazione.
L’infelicità provata è talmente profonda che agli occhi del/della bambino/a sembra durare all’infinito, e Cenerentola pare provare la stessa intensità di dolore.
Così, gli anni trascorsi da Cenerentola in mezzo alla cenere suggeriscono al bambino/a che nessuno può sfuggire a tale esperienza, anche se ci sono momenti in cui sembrano prevalere  forze ostili, il sollievo ottenuto da Cenerentola grazie all’intervento di forze benevole rassicura e tranquillizza il bambino/a.
Altri temi centrali sono: il nocciolo, gli aiuti magici,  la scarpina, il piedino, l’identità femminile, che esamineremo in seguito.
Riprendiamo il discorso lasciato a metà
Poche fiabe hanno subito tante variazioni come quella di Cenerentola; anche i temi centrali possono subire interpretazioni diverse a seconda che si intenda prendere in considerazione la linea proposta da B. Bettelheim, o quella della psicologia junghiana, o quella che vede un collegamento tra religione e favole, o ancora la linea che prende in esame gli elementi costitutivi delle fiabe facendoli risalire a riti e miti primitivo-arcaici, più specificamente "al ciclo dell'iniziazione" o alle "rappresentazioni della morte" (tesi sostenuta dalla scuola antropologica inglese: Lang). Per un ulteriore approfondimento: V.J Propp "Le radici storiche dei racconti di Fate".
Nei due approcci psicoanalitici (Bettelheim-Psicologia junghiana) i personaggi e i particolari mantengono un filo conduttore, ciò che li differenzia sono punti di vista connessi, il primo, al modello specificamente freudiano - che segue lo sviluppo psicosessuale del fanciullo/a - ; il secondo, al contrario, pone attenzione agli aspetti simbolici e archetipali emergenti nel processo si crescita e di individuazione.
° Cenerentola è l'eroina del racconto e come tale si trova a dover affrontare prove e sofferenze dalle quali dovrà uscire attivando le proprie energie con determinazione e volontà o soccombere; dovrà fare delle scelte e dovrà incontrare la sua parte Ombra, assimilarne i contenuti alla coscienza per centrare la "vittoria".
° Da una situazione iniziale in cui si sente amata, per cui occupa una posizione privilegiata, esperisce improvvisamente la "caduta" verso una posizione degradata, a livelli bassi, isolata ed emarginata.
° Nel racconto sono presenti rovesciamenti di posizioni (ci sono differenze tra la fiaba dei Fratelli Grimm e quella di Perrault), nelle forme di passività/dinamicità
° E' vero, come dice Bettelheim, che siamo di fronte ai temi legati al periodo edipico e all'antagonismo nell'ambito della fratria; ci sono i meccanismi difensivi quali la scissione madre buona che muore/matrigna nuova sposa del padre rimasto vedovo, sorelle/sorellastre; rimozione, repressione e formazione reattiva connessi ai sentimenti ostili e desideri pulsionali (sostituire la madre nell'amore del padre, prendersi cura delle sorelle mentre le si vorrebbe ferire); proiezione degli impulsi aggressivi e astiosi (su sorellastre e matrigna), emozioni suscitate dalla rivalità e dalla paura di non riuscire a conquistare l'amore e la stima dei genitori in concorrenza con i fratelli:
identificazione con la protagonista sia nelle sue disavventure-umiliazione, degradazione, straccioneria, ripudio - sia nella riuscita, perché Cenerentola sarà scoperta dal principe nonostante tutte le manovre attuate dalle sorellastre e dalla matrigna; pensiero persecutorio dovuto ai sensi di colpa causati dai suoi desideri edipici  per i quali il bambino/na viene umiliato, egli sospetta di avere qualcosa che in lui/lei non va e si sente indegno e sporco.
Nelle diverse versioni, ad eccezione di quella di Basile (Zezolla-Cenerentola su istigazione dell'istitutrice uccide la matrigna), Cenerentola è innocente, la sua virtù è perfetta, ma nella vita reale ciò è impossibile, giacché in qualsiasi relazione non esiste una persona che incarni l'innocenza mentre l'altra sia l'incarnazione della colpevolezza, tuttavia nelle fantasie infantili accade esattamente quanto accade nelle fiabe.
Cenerentola è nota principalmente in due forme diverse: una dovuta ai fratelli Grimm e l'altra a Perrault, le due versioni hanno notevoli differenze.
La fiaba presentata da Perrault ha un inconveniente -peraltro comune a tutte le sue favole - di essere stata in qualche misura "depurata" di contenuti a suo avviso volgari, per rendere il racconto un prodotto più adatto a corte. Egli prese spunto dal materiale tratto dalla tradizione orale, forse anche da Basile, certamente ha operato, però, tagli e aggiustamenti inserendo elementi più raffinati, inventando particolari e modificando altri in modo che la storia risultasse conforme ai suoi concetti estetici, come ad esempio l'invenzione della "scarpina di vetro". Questo è un dettaglio importante che si ritrova esclusivamente nelle versioni derivate da quella di Perrault e che è stato ed è ancora oggetto di controversie.
Sembra, infatti, che Perrault udita la storia abbia scambiato il termine vair (che significa pelliccia variegata) per  verre (che significa vetro); in francese le due parole hanno la stessa pronuncia e quindi è probabile che il favolista abbia scambiato una pantofola foderata di pelliccia per una fatta di vetro. 
Ad ogni modo, non vi è dubbio alcuno che la scarpetta di vetro sia una deliberata invenzione di Perrault così come tutte le favole Cenerentola da lui derivate, si trascinano dietro questa modificazione.
La versione scozzese di Rashin Coatie è molto più antica della Gatta Cenerentola di Basile e di quella di Perrault, è citata da Murray (1872); si racconta della pantofola di pelliccia indossata dalle sorellastre di Rashin Coatie, dopo che la madre le ha costrette ad amputarsi il tallone e le dita dei piedi. Se la scarpetta fosse stata di vetro il sangue si sarebbe visto immediatamente, mentre sembra che sia stato un uccello a rivelare l'inganno.
La versione dei Fratelli Grimm  ha il pregio di rimanere fedele ai racconti tradizionali, come d'altra parte lo sono tutte l fiabe da loro recuperate; le storie raccolte dai fratelli, trattengono vivo il folklore locale come è stato tramandato oralmente, le immagini sono più vicine a persone reali, così ad esempio, in Cenerentola si evidenzia l'assenza di autosvilimento della fanciulla che viene presentata non come un'eroina melensa e sdolcinata, senza iniziativa che si auto emargina, al contrario, ella è una ragazza che chiede, tanto per portare un altro esempio, di partecipare al ballo, ubbidisce sì alle richieste assurde della matrigna e delle sorellastre, ma non demorde continua a chiedere, desidera partecipare al ballo.
E va al ballo, se ne va spontaneamente e si nasconde al principe che cerca di seguirla. Nella versione di Perrault, allo scoccare della mezzanotte Cenerentola fugge non perché le sembra giusto farlo, ma soltanto in ottemperanza all'ordine della fata madrina: ella rischia che la carrozza si trasformi in zucca, i valletti in topini, i suoi bellissimi abiti in stracci.
Un altro aspetto che sottolinea le differenti versioni dei due autori si presenta quando viene il momento di fare la prova della deliziosa scarpetta: nella fiaba di Perrault, non è il principe che va alla ricerca della fanciulla, egli invia il suo ciambellano alla ricerca della proprietaria del prezioso oggetto. Prima che Cenerentola incontri il principe, interviene la fata madrina che la veste con un abito meraviglioso; qui si perde un particolare importante presente, invece, nella versione dei Fratelli Grimm: è il principe che si muove alla ricerca della ragazza, egli non si lascia influenzare dall'aspetto trasandato, misero e cencioso di Cenerentola, egli riconosce le qualità intrinseche della giovane a dispetto della sua apparenza esteriore.
Il principe porge la "scarpetta£ a Cenerentola ed è lei ad indossarla, dimostrandogli - come dice Bettelheim - che "sarebbe stata in grado di determinare il suo destino e il suo piacere"; in termini di psicologia analitica Cenerentola presenta il suo Animus, la componente maschile della sua psiche, ma solo dopo che il principe, nel porgerle la scarpetta, compie un gesto importante:il riconoscimento della sua identità e della sua femminilità.
Nella versione dei Fratelli Grimm quando il padre di Cenerentola parte, chiede cosa desiderino come doni, le figliastre chiedono vestiti e gioielli mentre Cenerentola un ramo di nocciolo. In alcune versioni,invece del nocciolo è un Pero, in altre un albero di datteri.
> Nel mondo della simbologia l'albero di nocciolo e il frutto hanno grande rilevanza nella popolazione Germanica e nelle popolazioni Nordiche: Iduna, dea della vita e della fertilità è liberata da Locki che, trasformatosi in Falco, la rapisce sottoforma di Nocciola.
Al ritorno del padre Cenerentola ottiene il dono richiesto e va subito sulla tomba della madre, pianta il ramo e lo innaffia di lacrime unitamente alle preghiere più volte al giorno fin quando il ramo non diventa albero.
In una fiaba irlandese si racconta di una duchessa sterile che passeggiando in un bosco di noccioli rivolge preghiere agli dei affinché la rendano feconda.
> La nocciola, nei riti matrimoniali (ad Hannover in particolare) è presente nel grido tradizionale della folla "nocciole, nocciole" e  il terzo giorno dopo le nozze, la sposa distribuisce nocciole per indicare che il matrimonio è stato consumato. In seguito questo albero della fertilità è stato trasformato dall'immaginario collettivo - condizionato dal Cattolicesimo del Medioevo - in albero della dissolutezza e in alcuni canti folkloristici il nocciolo è opposto all'Abete considerato l'albero della costanza.
> Nel Medioevo esistevano pratiche in cui la bacchetta di nocciolo era usata da stregoni e cercatori d'oro, il metallo naturale ospitato e custodito nel ventre di Madre Terra, come l'acqua di fonte; acqua e oro manifestano una inesauribile fertilità che sollecita, per omeopatia, una bacchetta fatta con il legno di nocciolo.
Mannhardt (Miti Germanici, 1856) già nella metà dell'800 segnalava che in "Normandia si batteva tre volte la vacca con una bacchetta di nocciolo perché desse il latte tutto l'anno". Dalle carte di un processo di stregoneria, svoltosi in Assia nel 1596, Mannhardt trae la seguente citazione:"se nella notte di Valpurga la detta strega aveva battuto la vacca con la bacchetta del diavolo, questa vacca dava il latte per tutto l'anno".
Fu così che il Nocciolo, albero della fertilità di antichi riti celtici e druidici, fu trasformato in albero dell'incontinenza, della lussuria ed infine, del diavolo. Dalle stelle alle stalle!
> Nella Tradizione celtica il Nocciolo è da sempre collegato a pratiche magiche: in tutti i testi celtici insulari, il nocciolo, insieme al Sorbo, è considerato albero sacro dal carattere magico e, a questo proposito, entrambi sono impiegati dai Druidi come supporto di incantesimi. Sul suo legno vengono incisi Ogam o lettere misteriose dal sapore magico. Per il tempo lungo impiegato dai suoi frutti per giungere a maturazione, si associa il simbolo della pazienza e della costanza nello sviluppo dell'esperienza mistica i cui frutti si fanno attendere.
> Il Pero in Cina era simbolo di lutto per i suoi fiori bianchi che rappresenterebbero e significherebbero il carattere effimero dell'esistenza; i fiori sono di estrema fragilità e durano poco. Il suo frutto - la Pera - "è un simbolo tipicamente erotico e pieno di sensualità, ciò è probabilmente dovuto al suo sapore dolce, all'abbaondanza di succo, ma anche alla sua forma che evoca qualcosa di femminile" (E: Aeppli, I sogni e la loro interpretazione, 1949).
> la simbologia della Scarpa è vasta e di questo oggetto di abbigliamento se ne parla anche nella Bibbia. In lingua germanica Skarpa, significa "tasca di pelle" ed è facile la vicinanza a "pantofola di pelliccia" invece che a "scarpetta di vetro". Oggetto dell'evoluzione dallo stato selvaggio alla civiltà, la scarpa è collegata allo spostamento e, se accostata al forma mitica, ha proprietà magiche che permettono al possessore di liberarsi delle leggi fisiche che lo ancorano alla terra, alla materia. Diverso è il discorso sulle Ali che per ovvi motivi non si affronta in questa sede.
Le origini del simbolismo della scarpa vengono da lontano, forse a partire dall'immagine del Potere (Re, Faraoni, Sacerdoti, Cavalieri,ecc.) i cui piedi sono calzati come pure quelli di uomini liberi in contrasto con gli schiavi che camminano a piedi nudi.
Anticamente lo scambio o il dono delle scarpe assumeva il valore di firma di patti e di contratti; questo rituale aveva particolare importanza nel matrimonio. Nella Bibbia vi sono diversi accenni alla scarpa: lanciando la scarpa della giovane sposa, il padre trasferisce la sua autorità al futuro marito, gesto che allude simbolicamente all'appropriazione, cioè che da quel momento in poi la moglie "appartiene", diventa proprietà del suo sposo.
Una tradizione che si è perpetuata nel tempo, se ancora oggi in alcuni paesi è in uso attaccare le scarpe al veicolo degli sposi.
Nella favola di Cenerentola la scarpetta assicura il legame tra il principe e la fanciulla oltre a chiarire il simbolismo sessuale della scarpa e del piede. Esiste un'espressione popolare "trovare la giusta scarpa per il proprio piede" indicante anche l'identità del possessore.
Non c'è che un unico piede al mondo che può calzare quella "scarpetta di vetro" anzi, "quella preziosa pantofola di pelliccia", metafora inequivocabile per dire che il cuore del principe non può che battere per una sola fanciulla: Cenerentola, appunto.
Nella lettura psicoanalitica il simbolismo della scarpa è la incarnazione della vagina e il piede del pene. La penetrazione del secondo rivela la necessità di un adattamento che può arrivare all'adeguamento perfetto.
In quanto oggetto che contiene, la scarpa è simbolo del femminile, esattamente come lo sono la matrice, la conchiglia, la coppa; il piede, di contro, per la sua forma e in quanto parte del corpo che entra nella scarpa, è il simbolo del maschile.
Appartenendo entrambi alla stessa persona si rappresentano i due lati della personalità il lato maschile e femminile sia nella donna sia nell'uomo.

                                                                                                                                                                 
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