Miti-Immagini-Archetipi

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Nei miti, nelle leggende, nelle fiabe si riscoprono i modelli fondamentali della Psiche umana. Secondo C.G.Jung ogni archetipo nella sua essenza è un fattore psichico sconosciuto, pertanto è impossibile tradurne il contenuto in termini puramente intellettuali. Christian Heyne, Friedrich Creuzer e Joseph Gorres supponevano che i miti fossero espressione simbolica di realtà e di pensieri profondi. All'epoca non esisteva nessuna ipotesi sull'esistenza di un Inconscio Collettivo o di una struttura psichica umana comune, universale.
Per tanto tempo il pensiero accademico ha rifiutato di considerare valide le immagini archetipali scegliendo il "taglio scientifico" della Psicologia  a scapito delle reazioni emotivo-affettive incanalando la mente ad essere "obiettiva", sempre.  Poiché è impossibile astrarre l'individuo umano, oggetto di osservazione e di studi da parte di questa disciplina,  per evitare di essere condotti a un insieme caotico di significati arbitrari, si deve tenere conto delle strutture, dei bisogni psichici, delle immagini e del materiale culturale, del contesto relazionale in cui si trova l'essere umano. Noi partiamo con alcune piccole critiche alla pretesa di scientificità a "tutti i costi" da parte della Disciplina Psicologica perché siamo convinti che la Psiche Umana ha ancora tanto materiale da esplorare.

 Alcune considerazioni prima di immergerci nel mondo immaginale

La Psicologia del profondo, o psicodinamica, o psicoanalitica, non ha basi scientifiche, non ha laboratori di ricerca come la medicina, la fisica, la chimica, ecc. La Psicologia Psicoanalitica, è costituita da un insieme d’ipotesi teoriche e di tecniche d’intervento ma queste non hanno l’autorevolezza delle discipline scientifiche così com’è richiesto dal mondo accademico.
Su questo problema, che ha un “peso  specifico” non indifferente, vanno a mettere radici anche i rigidi  dogmatismi che altro non sono che meccanismi di resistenza e di chiusura. I Dogmi in Psicologia non servono, sono solo abiti mentali, forme di sillogismi che si elicitano non per inferenza ma di rimbalzo.
Nel campo delle discipline psicologiche quando si parla di diagnosi, va obbligatoriamente inserito il termine d’ipotesi e dunque si parlerà d’Ipotesi Diagnostica. Non ci sono certezze, solo ipotesi.
Il bisogno di scientificità della Psicologia, questa caparbia ricerca di scientificità, sembra averla condotta lontano dalla natura interiore dell’uomo e dalla scienza della Natura. Oggi ci sono tante discipline e scuole di psicologia che cercano di adeguarsi a quelli che sono i “criteri scientifici” richiesti dal mondo scientifico.
 La civiltà moderna si è appiattita su fittizie certezze e false sicurezze sulle quali si continua a costruire un futuro che non raccoglie i raggi del Sole (conoscenza) ma è preda di una notte oscura e schiacciante.
Sia bene inteso che il discorso che si va facendo non è in polemica con il “pensiero e il progresso Scientifico”, semmai è in polemica con quella parte che è il razionalismo rigido e dogmatico. “…l’imperio della pura ragione è quello del dispotismo….la pura ragione dissipa le illusioni e conduce per mano l’egoismo”.(G. Leopardi : Zibaldone di pensieri a cura di F. Flora. cit. in Luisa Muraro: Al mercato della Felicità-Mondadori-2009).
Ragionare e dimostrare non basta.
La Psicologia che nasce come il discorso sulla Psiche (Yuch= anima, soffio, spirito, farfalla), ha avuto necessità di indossare abiti scientifici per accedere nel sancta sanctorum delle scienze cosiddette pure. « La psicologia è definita dal suo specifico oggetto di studio, complesso e indagabile da differenti prospettive, con metodi tra di loro molto diversi; pertanto non costituisce un'unica disciplina, ma un insieme di scienze molteplici e differenziate; la scientificità di ognuna è affidata alla struttura e alla coerenza dello specifico metodo. »  (Antonio Imbasciati Istituzioni di Psicologia Vol I: Introduzione alle scienze psicologiche, Torino, UTET 1986).
Così riformando se stessa la psicologia si è avvicinata sempre  più a modelli scientifici altri, a definizioni di procedure sperimentali, a cambiamenti concettuali. Conoscere, conoscere, conoscere è il primo bisogno della scienza ma il cammino non è così tranquillo come si vuole credere, tutt’altro, è irto d’ostacoli e di trabocchetti che talvolta rendono drammatica questa conoscenza perché risulta essere una conoscenza che usa la ghigliottina: ha tagliato la testa a millenni di vita delle immagini, dei simboli, delle ierofanie, di riti e di culti.
Così riformando se stessa la psicologia si è avvicinata sempre  più a modelli scientifici altri, a definizioni di procedure sperimentali, a cambiamenti concettuali. Conoscere, conoscere, conoscere è il primo bisogno della scienza ma il cammino non è così tranquillo come si vuole credere, tutt’altro, è irto d’ostacoli e di trabocchetti che talvolta rendono drammatica questa conoscenza perché risulta essere una conoscenza che usa la ghigliottina: ha tagliato la testa a millenni di vita delle immagini, dei simboli, delle ierofanie, di riti e di culti.
Abbiamo perso l’alimento primario della nostra Psiche che si nutre delle risorse simboliche, strutture archetipali, la cui perdita non colpisce uno solo ma l’intera umanità e a livelli dove non arrivano le nostre geografie del credere/non credere, dove non arriva il nostro “amato” e “osannato” pensiero ragionante. (da Muraro op.cit). Attualmente – ma le radici vanno molto più indietro nel tempo, la cultura simbolica è considerata minoritaria ed è precipitata negli schemi di quella che avanza- dominante - con il rischio di trasformarsi deformandosi.
La specie umana, l’Umanità, ha vissuto per millenni organizzando la propria vita attorno alla convinzione che il mondo visibile – la phisis- e quello psicologico conscio, costituissero l’ultimo anello di una catena di processi sconosciuti (occulti per la mente primitiva) che identificava generalmente nelle attività di dei e demoni architetti costruttori della Manifestazione.
E’ un’antica idea, vecchia sì, ma non da buttare in soffitta, le sue testimonianze le ritroviamo registrate nel linguaggio scelto da sempre: quello mitologico-simbolico-ierofanico; testimonianze  che sono reperibili già a partire dal periodo neolitico.
L’immaginario ha costruito il mondo dell’alchimia (ma chi lo ricorda più?), delle influenze celesti, della simpatia e della alleanza degli dei, del Tempo e dello Spazio Sacro.
La civiltà Egizia e quella Mesopotamica avevano riportato –agli inizi di quella che sarà la storia propriamente intesa – sistemi cosmogonici che, sempre in forma mito-simbolica, descrivevano i complessi processi d’avvenimenti nella realtà visibile provenienti da uno strato sottostante inosservabile o nascosto, celato, in altri termini “occulto”.
La scienza si impone, nasce proprio per domare e dominare lo spirito indomabile dell’uomo; essa scienza è contro tutto quanto detto sopra.
Perso un pilastro della sua impostazione iniziale - fiducia nella bontà dell’universo che è opera del divino e del sacro – la società scatena una proliferante mitologia del successo a tutti i costi, dell’annientamento dei principi dell’attività immaginale, a favore del pensiero razionalizzante, e si propaga nella testa dell’intero corpo sociale rivelandosi molto tenace ma anche distruttiva.
Apro una parentesi. Riporto il contributo di Gaston Bachelard La Formazione dello Spirito Scientifico” (ed. R.Cortina 1995).
Nella cultura che cambia velocemente senza andare avanti (va sottolineato), in un’economia che cresce a dismisura e si espande in modo elefantiaco ma che non si cura di far crescere il senso di sicurezza, nella vita che ci appare come un mercato nel quale non possiamo non vedere l’umanità stretta fra due colossi: il troppo e il troppo poco, si intravede il desiderio e la passione di recuperare le immagini, la poesia, l’anima.
Non facciamoci distrarre e/o condizionare da quanto ci viene raccontato in via approssimativa, perché è quello che vuole la cultura d’appartenenza, dobbiamo abbandonare le verità scolasticamente accettate. Dobbiamo ri-scoprire e far ri-vivere una forma alta di contestazione che non sia necessariamente di contrapposizione. Anzi non lo deve essere.
Prendo spunto dal pensiero di G. Bachelard per meglio chiarire il concetto  relativo allo studio della storia della scienza  che si contrappone nettamente al neopositivismo, rivendicando una maggiore attenzione ai fattori storici, sociali, culturali e psicologici che condizionano inevitabilmente il pensiero scientifico. In tale ottica, egli rifiuta (come già Hanson, Feyerabend e lo stesso Popper) il mito empirista del dato immediato come base del sapere scientifico, poiché il dato empirico è sempre legato ai sistemi teorici.
Non esiste una scienza, bensì le scienze, ossia una pluralità irriducibile di saperi e di tecniche specifiche (v. il pensiero di Imbasciati poco più sopra). Ogni scoperta è il risultato di una radicale messa in discussione delle categorie e degli schemi teorici precedenti e non un processo lineare e cumulativo. Da Galileo a Darwin, da Einstein alla meccanica quantistica, dalle geometrie non-euclidee alla genetica, la scienza mostra di avanzare solo attraverso ripetute modificazioni delle teorie precedenti, in altre parole come negazione di qualche aspetto fondamentale che le contraddistingue.
Per ridurre l'influenza dei fattori extrascientifici, bisognerebbe attuare, secondo Bachelard, una sorta di “psicoanalisi della conoscenza”, volta ad abbattere gli ostacoli epistemologici che intralciano il progresso della scienza. “La ricchezza di un concetto scientifico è misurabile dalla sua capacità di deformazione" (G. Bachelard, cit. supra). In questo senso si devono associare al concetto scientifico entrambi gli attributi, apparentemente contradditori, la plasticità e la rigidità.
E allora cosa fare? Pensare in maniera autonoma, provare interesse, delineare la psicologia della pazienza scientifica – come dice G. Bachelard – individuare nuove funzioni  e atteggiamenti mentali come la  Reverie  (Bion), stato mentale aperto alla ricezione di tutti gli oggetti; è funzione della mente femminile, ma anche espressione infantile e poetica, fortemente radicata nella sensorialità.   
Fare esperienza di una cultura non collegata al Super-Io, ma all'Io (termine usato da Bachelard): la cultura è l’oggetto da interrogare, perché l'atto scientifico è "tollerare che non vi sia una soluzione ma riconoscere l'esistenza di un problema" (frustrazione connessa al riconoscimento dell'esistenza di un problema). "Bisogna prima di tutto saper porre problemi, ogni conoscenza è risposta ad una domanda , ma bisogna anche saper discutere la domanda" (Bachelard, cit); l’autore inoltre ci ricorda che si tende ad irrigidire la risposta dimenticando il problema e la domanda; assolutizzando la risposta, la stessa si tramuta in ostacolo alla conoscenza. Scrive Bachelard: "la conoscenza comune conosce più risposte che domande, la conoscenza scientifica più domande che risposte".  
Ciò credo rimandi anche all'uso assolutizzante che è stato fatto del "senza memoria e senza desiderio": "Mediante l’uso le idee si assolutizzano e questo è un vero e proprio fattore di inerzia dello spirito.                   
Bachelard propone la rêverie come metodo parallelo non conflittuale del conoscere e parla anche lui  dell'alternarsi della notte e del giorno.
E' necessario differenziare la rêverie dal rêve, essendo la rêverie  l'alba della coscienza e della conoscenza, immaginazione poetica di quella area mentale primaria specificamente dell'infanzia che attraverso i sensi si apre alla bellezza del cosmo- natura.
La rêverie è  memoria immaginativa, soggettiva.  
La mente, vive di immagini-ricordo soggettive, basate sui sensi (in particolare olfatto e vista), permane in ogni soggetto, e si esprime attraverso una funzione femminile della mente umana.
Bachelard  conosce solo una psicoanalisi precedente gli studi sulla mente precoce, sulla relazione precoce madre - bambino, e perciò dopo aver ritenuto indispensabile l'apporto della psicoanalisi per la scienza, in particolare per la fisica, la esclude proprio dalla rêverie, perché la psicoanalisi "pensa troppo e si occupa solo di traumi" e non saprebbe vedere quella area, che noi diremmo mentale, in cui una presenza infantile attende che qualcuno la incontri al di là dell'infanzia inasprita e indurita dai traumi della vita e dagli eventi, per riprendere il percorso delle sue potenzialità.
Concludo queste annotazioni sul pensiero di Bachelard raccogliendo la sua sollecitazione a considerare la crisi come momento forte, specifico ed essenziale della creatività di un conoscere scientifico non più fondato sulla staticità e sugli assoluti, ma sul cambiamento.
Dr.ssa Donatella Steck
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Le Strutture Archetipali

Nonostante il loro carattere del tutto collettivo, le immagini mitologiche e archetipiche sono legate in modo indissolubile all'individuo. Spesso vengono trascurate, il pensiero accademico analizza la struttura, abituando la nostra mente a reprimere le reazioni emotive, guidandola all'obiettività. Jung dice che questo procedimento è, fino ad un certo punto, corretto ma in psicologia non può essere applicato nella stessa maniera di come ci insegna la scienza esatta. Infatti, è questa la difficile posizione della psicologia intesa come scienza, perché questa disciplina, al contrario di tutte le altre, non può permettersi di trascurare l'aspetto emotivo. Essa deve prendere in esame la qualità del sentimento, il valore emotivo di fattori esterni ed interni, compresa anche la reazione emotiva dell'osservatore.
L'uomo vive tra due fuochi: il mondo interno della vita istintuale, degli Archetipi e il mondo esterno del conformismo, degli stereotipi, delle maschere.
Gli Archetipi sono strutture, predisposizioni potenti ammantati dell'immagine, della mitologia, delle leggende, dei racconti, delle fiabe; sono contraddisinti da Impulsi, Emozioni, Bisogni che caratterizzano e plasmano la personalità.
Gli istinti sono indomabili, provocatori, irriverenti, dirompenti, fluidi come l'elemento primordiale da dove ha origine la vita (acqua), sono infiammanti, passionali e ardenti (fuoco), radicati e stabili, germinativi e gestazionali (terra), sottili, leggeri, volubili (aria). Nonostante le raffinate procedure di indagine, nonostante  i concetti causa effetto siano la bandiera della ragione razionale e razionalizzante, ebbene le "zolle primordiali" - strutture archetipali - sono caparbiamente e bizzarramente stabili nel loro esistere e resistere.
Stanno accovacciate, silenti ma non troppo, frementi e mai sconfitte, mai domate, mai ingabbiate in angusti spazi, pronte a riattualizzarsi per altre vie e con altri ritmi (il sogno, le fantasie, le immagini, i simboli), quasi a voler rimarcare quanto il pensiero prelogico sia ancora presente nell'uomo e nella donna dell'era della tecnologia avanzata, della globalizzazione, della rete.
Nel 1868 Adolf Bastian formulò l'ipotesi secondo la quale tutti i temi mitologici fondamentali sarebbero i "pensieri elementari" dell'umanità. Era convinto che tutta l'umanità avesse una riserva di questi Elementargedanken, innati in ogni individuo, essi sono universali e appaiono in diverse varianti in India, in Egitto, in Mesopotamia, in Cina, In Africa, in Europa, nei Mari del sud, ecc.
Come non vedere nell'idea di Bastian una nozione anticipatrice del futuro concetto di Archetipo e di immagine archetipica di C.G.Jung? Per lo psichiatra svizzero l'Archetipo è la disposizione strutturale fondamentale e universale (comune a tutti gli uomini e in tutte le epoche) a produrre un certo mitologema, mentre la forma specifica in cui esso si modella è l'Immagine Archetipica.
Immaginare significa fare immagini che non sono certamente copie della realtà come noi la conosciamo.
Le nostre dinamiche interiori, i nostri conflitti, oltre al vissuto personale, spesso attingono a un patrimonio universale di modelli riconoscibili in tutti i contesti culturali. Ogni archetipo comporta una certa visione del mondo.
E' vitale rendere espliciti i miti e gli archetipi che governano le nostre vite; quando non li nominiamo diveniamo loro ostaggi e non possiamo fare altro che viverne la trama che essi hanno tessuto per noi. Quando, al contrario diamo loro un nome, allora abbiamo una scelta nella risposta.
Per spiegare meglio: il Mito di Edipo e il Mito di Narciso. Sono due classici esempi di Archetipi di personalità e di condottotte comportamentali.
Possiamo fare delle considerazioni, ad esempio di modelli archetipici femminili. Secondo Bolen, Era (Giunone per i Romani), Demetra e Persefone (Proserpina), appaiono come dee vulnerabili perché trovano piena realizzazione di sé solo con altre persone, sono dipendenti da qualcuno; Era/Zeus (moglie di...), Demetra/Persefone (madre/figlia). Poi abbiamo un gruppo di altre tre dee, Artemide (Diana per i Romani), Estia (Vesta), Athena (Minerva), queste sono dee invulnerabili: si realizzano pienamente senza necessitare dell'appoggio di altri, sono indipendenti, autosufficienti, traggono piacere e gratificazione da sé stesse. Infine una sembra essere rimasta fuori, ma non è così. Afrodite (Venere) è una dea che non rientra nelle due tipologie appena dette perché le incarna entrambe.
Continuando a seguire le linee junghiane e visto che abbiamo appena accennato agli archetipi femminili, non possiamo non considerare anche i modelli archetipici maschili. Tre sono le figure principali, gli dei padri: Zeus (Giove), Poseidone (Nettuno), Ade (Plutone) un uomo ne incarnerebbe uno di loro, mentre gli dei figli Ares (Marte), Ermes (Mercurio), Efesto (Vulcano), Apollo, Dioniso corrispondono agli archetipi presenti in modo minore in un individuo.
In ogni uomo possono essere presenti vari archetipi in misura maggiore o minore, sia maschili che femminili, ma non sarà utile prendere visione del proprio archetipo e pensare di avere concluso; la vita è varia, mutevole e attaccarsi solo al proprio archetipo è una "punizione" e una "condanna".
Le scelte epistemologiche operate nel '600 (la rivoluzione scientifica ha operato una sistematica e pervicace eliminazione dei processi occulti e delle qualità essenziali nella spiegazione dei fenomeni; prevale, infatti, la concezione che tutti i fenomeni psichici non sono altro che epifenomeni di una dinamica fisica legata all'attività del sistema nercoso centrale.) hanno prodotto una faglia nel terreno di indagine e di osservazione dei fenomeni inerenti la sfera psicologica, la cui conseguenza è stata la separazione dal passato culturale della specie. Così, il bisogno di descrivere i fenomeni, di ordinare in categorie gli eventi decisivi di una esperienza sono precipui compiti in cui ha trovato, e trova, attestazione lo spirito scientifico e da cui ha avuto inizio la modernità.  La presunzione di ingabbiare e imbavagliare il passato dell'umanità è stato un ultimo tentativo, mal riuscito, però.
Per la Psicologia analitica, gli elementi costitutivi dell'Inconscio collettivo sono gli Archetipi.
l'Archetipo non è un'entità concreta che esiste nel tempo e nello spazio come noi li intendiamo, ma è un'immagine interiore che agisce sulla psiche umana.
Dr.ssa Donatella Steck
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9 maggio 2011
Archetipo

L’Archetipo è un fattore oscuro, una predisposizione che, in un dato momento dello sviluppo dello spirito, comincia ad agire organizzando e ordinando  il materiale della coscienza in figure determinate. E’ presente e invisibile nello stesso tempo, è eterno e polimorfo; come un magnete contiene in sé un potenziale numinoso e pluralità simbolica.
L’Archetipo alberga nella psiche dell’Uomo sia come figure deifiche maschili e femminili, lo vediamo coinvolto in sentimenti, pulsioni e qualità mentali.
Esso è costituito da un suo simbolismo bene articolato: parliamo di polimorfismo proprio perché contiene differenti immagini con altrettanti significati, questi possiedono – come si diceva poco più indietro – una possente parte costitutiva a carattere emotivo, capace di condizionare decisamente l’atteggiamento e il comportamento umano.
Le immagini simboliche che si presentano a noi, sotto forma di immagini oniriche, fantasie, rêverie,
sono rappresentazioni dell’archetipo che ci appartiene, latente o inconscio, si presentano alla coscienza.
Gli archetipi sono numerosi e riguardano sia il femminile sia il maschile che Jung ha definito “immagini primordiali”.
Miti, Archetipi, ierofanie, parlano alla nostra anima (psiche) al nostro spirito, superano la riduttività del discorso razionale perché in grado di riflettere una struttura psicologica umana sostanziale; essi contengono un significato universale espressione di un processo comune a tutti gli esseri umani.
I più importanti, seguendo lo studio di Jung, sono: il Sé – risultato del processo di formazione dell’individuo- l’Ombra – parte istintiva e irrazionale, contiene anche i pensieri repressi della coscienza – l’Anima – aspetti della personalità femminile così come l’uomo se la rappresenta nel suo inconscio – l’Animus – controparte maschile dell’anima nella donna.
Da un punto di vista strettamente psicodinamico, Jung postula, quattro funzioni fondamentali: pensiero, sentimento, sensazione e intuizione. Ciascuna di queste funzioni è diversamente dominante in ogni individuo e per questo,  ogni individuo si confronta con l’Archetipo femminile che giace sonnacchioso nel suo inconscio.
Questa relazione ha, secondo Jung, un ruolo nell’equilibrio delle funzioni psicodinamiche. Le funzioni meno dominanti in un individuo vengono sommerse nell’attività della psiche inconscia e assumono la forma di funzioni psicodinamiche della sua anima come se questa fosse in qualche misura capace di intrattenere una forma di dialogo interiore.
Perciò l’Archetipo, viene ad essere prototipo universale per le idee attraverso il quale ogni essere umano interpreta ciò che osserva e sperimenta. E’ l’immagine primaria (in tedesco: urtumliches Bild) dell’inconscio collettivo.
Gli Archetipi integrandosi con la coscienza, vengono rielaborati continuamente dalle società umane, si manifestano “contemporaneamente anche in veste di fantasie e spesso rivelano la loro presenza solo per mezzo di immagini simboliche”, si rafforzano, si indeboliscono; il loro indebolirsi nell’epoca moderna (fattori psicopatologizzanti) ha reso possibile e utile la Psicologia.
Di Archetipi in psicologia si sono occupati diversi studiosi, avremo modo di conoscerli nel prosieguo del nostro percorso
Dr.ssa Donatella Steck

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BibliografiaBachelard G. (1960) La poetica della rêverie. Bari, Dedalo, 1962
Bachelard G. (1938) La formazione dello spirito scientifico- R.Cortina  Mi. 1995
Bachelard G. (1938) La psicanalisi del fuoco. Bari, Dedalo,1965
Imbasciati A. Istituzioni di Psicologia Vol I: Introduzione alle scienze psicologiche, To. UTET 1986
Jung C.G:     Archetipi e l’inconscio collettivo –Opere vol. IX – To. Boringhieri 1997
Jung C.G.    Ricordi Sogni Riflessioni – Rizzoli 1992
Jung C.G.    Tipi Psicologici – Opere vol. VI – To Boringhieri 1996
Muraro L.  Al mercato della Felicità   Mondatori  2009.
Murciano G. Archetipi del Femminile-Atti Convegno Filosofia, Donne, Filosofie- Micella Le. 1992

Archetipo della Grande Madre- Mito di Hera

Breve Sommario:
-         Miti e Archetipi in Psicologia
-         Uroboro
-         I caratteri del femminile
-         Mito e Archetipo della Grande Madre

Tutte le dispense riguardanti gli argomenti oggetto di studio questo anno, sono coperte da copyright al fine di proteggerne le fonti. Sono frutto di anni di studio e di ricerche, seminari e corsi di formazione, tesi e relazioni anche di altri colleghi, oltre ovviamente di autori citati in bibliografia; pertanto chi ne volesse usufruire per altri scopi e/o interessi è pregato di chiederne l’autorizzazione, è pregato di non stravolgerne il contenuto, è pregato di citare le fonti e la bibliografia. Vi ringrazio.
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  1. Miti e Archetipi in Psicologia
Iniziamo da un dato incontrovertibile: ogni Psicologia parte da un postulato

Le Immagini riproducono più o meno fedelmente Emozioni, Sensazioni, Sentimenti,
che ci appartengono e che trasferiamo su oggetti, persone esterni usando la proiezione

L’inconscio ha una sua architettura ed è strutturato come un linguaggio che si esprime con immagini, visioni, fantasie.
La  Psicologia si aggancia alla mitologia per riprendere a“fare anima”;  non di una sola cultura, non solo di un popolo ma ad un livello più ampio cioè universale. In sostanza, riconosce se stessa con l’esplorazione simbolica che il mito le procura. Quando si occupa di miti e del loro significato simbolico entra in contatto con le figure, le immagini arcaiche. Queste sono determinate da elementi formativi  la cui efficacia può constatarsi nelle manifestazioni dell’anima: visioni, poesia, creazioni artistiche, modo soggettivo di modellare la vita individuale e collettiva che C.G.Jung ha battezzato Archetipi.
Ripetiamolo (tanto male non ci fa) gli Archetipi sono strutture profonde in grado di indicare le vie più autentiche dell’esistenza. Parlano direttamente alla nostra anima, sono capaci di riflettere una struttura psicologica umana di base, contengono un significato universale, espressione di un processo comune a tutti.
Quando si parla di archetipi:
Ø      inevitabile il ricorso al mito e al significato simbolico ad esso connesso;
Ø      si entra a contatto con il mondo di 4/5 mila anni fa (almeno) un’era in cui l’Uomo non potendo darsi spiegazione di eventi (climatici e atmosferici, ciclici) ha “creato” gli dei proiettando fuori da sé emozioni, sensazioni, pulsioni, istinti;
Ø      come la nostra la nostra personalità ha tante sfaccettature (v. es. diamante);
Ø      l’archetipo può essere attivo e in tal caso porta alla conoscenza, inconscio (latente) e in questo caso domina passando a polarizzazioni positive/negative;
Ø      sollecitazioni dinamiche si risvegliano quando siamo posti davanti ad un racconto mitico/leggendario/favolistico;
Ø      ogni materia immaginata, meditata è immagine di intimità dentro; sollecita l’affioramento di impronte di aspetti accoglienti, invitanti ma anche dinamiche di attrazione, fascino, richiamo unitamente a polarità di opposizione che si evidenziano sotto il segno di ostilità, rifiuto, distruttività.
Gli archetipi principali sono diversi e sono in relazione tra loro in una dinamica di opposizione o di reciprocità. Nel percorso da un polo all’altro emergono gli archetipi secondari, non per questo però meno importanti. Tra quelli che riguardano il femminile, particolarmente vi è quello che Jung ha definito Immagine primordiale o Archetipo della Grande Madre.
Grande Madre, e questo va sottolineato, è un aspetto parziale anche se centrale dell’archetipo del femminile. I due termini Madre e Grande racchiudono in essi un simbolismo dotato di una potente componente emotiva.
-         Madre indica una complessa situazione psicologica dell’IO oltre ad una relazione di filiazione;
-         Grande è espressione che indica il simbolo di superiorità che tale figura possiede nei riguardi di tutto ciò che è stato generato.
Le immagini simboliche sia positive che negative sono davvero tante e comprendono Dee-Fate/Demoni/Ninfe/Fantasmi/Mostri.
L’uomo primitivo concepiva la divinità come fusione di Bene e Male; Solidarietà e Ostilità il tutto in un’unica Unità.
Per la Psicologia analitica gli elementi costitutivi dell’Inconscio collettivo sono gli archetipi. Questi non sono entità concrete che esistono nel tempo e nello spazio come noi li concepiamo. Sono immagini interiori che agiscono nella Psiche Umana . Fattori oscuri, predisposizioni che in determinati momenti iniziano ad agire ordinando il materiale della coscienza in figure determinate.
Sono eterni, invisibili e universali. Forza agglutinante della potenza simbolica e numinosa. L’archetipo (in generale) è costituito da un suo simbolismo articolato che contiene differenti immagini con altrettanti significati a forte componente emotiva e condiziona il comportamento umano (Jung C.G. Archetipi e inconscio).
L’Uomo arcaico si accostava alla realtà  mitologicamente tramite cioè la formazione di immagini arcaiche che proiettava sul mondo.
E’ lo stesso modo che utilizza il bambino piccolo quando riversa sulla propria madre l’Immaginario della Grande Madre (fra poco vedremo questo archetipo più nello specifico), perciò la percepisce onnipotente e numinosa da cui dipendere totalmente. La vita dell’uomo alle sue origini non è diretta  dai concetti ma dalle immagini primordiali; non è indirizzata razionalmente da  Istinti e Simboli.
Ora possiamo introdurre il tema della Madre uroborica che ci prepara la strada per incontrare la Dea olimpica Era (Iuno =Giunone per i Romani).

2. Uroboro    

L’Uroboro è l’immagine del serpente circolare che si morde la coda, solitamente si è tutti concordi nel dire che esso simboleggia la situazione psichica originaria, dove la coscienza e l’IO sono indifferenziati. E’ detto anche il Grande Cerchio.
Man mano che gradualmente entra nell’immaginario archetipico, l’uroboro si trasforma e si sviluppa, confluisce  nell’archetipo del femminile trasformandosi nella Grande Madre o Grande Dea Madre.
Simbolo primordiale, in cui sono fusi elementi positivi e negativi, maschili e femminili in una forma di inestricabilità del caos, dell’inconscio e della totalità della Psiche, è anche simbolo dei Genitori primordiali, fusi uno nell’altro, da cui progressivamente si separeranno le figure, anch’esse primordiali del Grande Padre e della Grande Madre.
Quando parliamo di Uroboro Materno si vuole sottendere che l’archetipo femminile è predominante nella dimensione uroborica rispetto alla Grande Madre, mentre invece nella Grande Madre uroborica si delinea la supremazia della Grande Madre, assoluta nutrice e detentrice caotica degli opposti (E.Neumann- La Grande Madre, fenomenologia delle configurazioni femminili dell’inconscio- Astrolabio, Roma 1981).
 La Grande Madre, dispensatrice di ogni forma di vita o di morte, totalità libera ed indeterminata dell'essere elementare femminile, forza primordiale della natura, che dà e toglie la vita, terra madre in cui tutto ha inizio e in cui tutto ha termine, unità omnicomprensiva dell'essere che raccoglie tutti i significati. In lei i contrari non sono ancora disgiunti, la grande madre terribile contiene in sé femminile e maschile in una unità indivisibile; è il matriarcale terribile, simbolo della potenza femminile della natura, dove il maschile possiede solo il momento fuggevole dell'accoppiamento.
La Grande Madre era adorata come forza vitale femminile profondamente collegata alla natura e alla fertilità, ed è responsabile della creazione e distruzione della vita. I suoi simboli sacri sono il Serpente, la Colomba l’Albero, la Luna.
Essa è immortale, immutabile, onnipotente.
Quando inizia la differenziazione dell’uroboro in archetipo femminile e archetipo maschile, si configurano i tratti della Grande Madre che assume una triplice forma: Madre buona, M. terrifica, M. buona e cattiva. Essendo questa ultima buona e cattiva insieme permette l’unificazione degli elementi positivi e negativi. 
La coscienza dell’IO, ampliandosi esperisce le immagini archetipiche in maniera indiretta, cioè come contenuti psichici proiettati sul mondo esterno, attraverso figure divine o semplicemente persone. Vi porto degli esempi per comprendere meglio:
Le tre divinità femminili, Iside (Egitto), Gorgone (pre-greca), Sophia (saggezza) sono immagini proiettive dello spazio interiore ma sono vissute come esteriori, cioè, reali: la terribile figura della Gorgone dallo sguardo pietrificante è proiezione della Madre Terribile; Sophia è la Madre Buona; Iside riunendo i tratti di madre buona e terribile, corrisponde all’archetipo della Grande Madre: reca in testa il simbolo del trono; è la dea Madre che prende possesso della terra sedendosi nel suo grembo. Ma ne possiamo vedere altre che ci permetteranno di entrare ancora di più  nelle pieghe di questo Archetipo.
La G. M è insieme madre e figlia-vergine (Demetra e Kore o Persefone). È Afrodite-Urania che uccideva il compagno divino dopo l'accoppiamento. È la dea babilonese Ishtar, dea dell'amore e della fecondità, e insieme dea delle armi e della guerra, signora della terra e del cielo.
È Kalì., l'Oscura, che contemporaneamente crea, preserva, distrugge.
Preciso che il termine Vergine non si riferisce alla castità, alla purezza. Vergine in origine significava donna non maritata, giovane donna, la parola greca che rende bene ciò di cui si parla è parthenos che indica semplicemente una donna non sposata. Proseguiamo con il discorso sulla Grande Dea Madre.
Si tratta dell'immagine primordiale della natura, come principio creatore femminile, in tutta la sua poliedricità e ambiguità, la figura divina del caos primordiale.
Quando successivamente, dall'unità indifferenziata della grande madre, i vari aspetti del femminile vengono maggiormente differenziati, troviamo da una parte Afrodite, che rappresenta la totalità dell'amore, la voluttà come legge suprema della vita, e dall'altra Artemide e Atena, la cui modalità verginale è quella della resistenza all'Eros.

“Il principio vitale della coscienza femminile è l'Eros, che, in quanto dimensione della relazione e del sentimento, del non-poter-vivere-senza-l'altro, del non potersi realizzare senza un Tu, può contenere un rischio di dipendenza e può entrare in conflitto con l'esigenza di restare fedele a se stessa e di mantenere indipendenza e libertà. Mentre il Logos vive e si nutre di oggetti e di idee, di "interessi obiettivi", l'Eros vive di persone e relazioni e ha bisogno di oggetti viventi per vivere e per operare. La donna in genere cerca la concretezza del corpo, agisce per amore di una persona, e non per amore di una cosa, è interessata agli esseri singoli. Questa è una grande ricchezza, ma comporta anche dei pericoli.
Il bambino maschio ad un certo punto del suo sviluppo sperimenta la madre come un Tu estraneo e diverso, vive perciò il principio dell'opposizione maschile-femminile all'interno del rapporto originario, a cui deve rinunciare se vuole raggiungere se stesso e la sua identità con il maschile. Da questa esperienza egli trae la tendenza all'oggettivizzazione, a porsi a confronto con le cose, a distanziarsi dall'altro. La bambina, invece, non sperimenta nessuna opposizione nel rapporto originario con la madre, non deve rinunciare allo stato d'identità con la madre per riconoscere se stessa come essere femminile. L'aspetto negativo di questo consiste nella tendenza all'identificazione con l'altro e nel rischio di una fissazione a questo stato di unità completa e appagante” (Tutto il pezzo virgolettato è tratto dalla tesi di specializzazione di Gilda S).

  1. Caratteri del femminile
La qualità essenziale del femminile si caratterizza per la presenza di alcune peculiarità, precisamente due, che si compenetrano, coesistono e nel contempo si contrappongono fra loro e sono: il Carattere Elementare e il Carattere Trasformatore.
Di solito si presentano contemporaneamente ma è possibile una dominanza dell’uno sull’altro.
Quando si parla di “carattere” si vuole intendere una “peculiarità della psiche” che corrisponde a strutture e processi psichici che devono essere interpretati per essere compresi.
A questo punto l’interpretazione svolge una funzione rilevante perché attraverso essa possiamo comprendere meglio i miti e il loro significato e, anche, funzioni e influenze, si può spiegare ad esempio, l’esperienza che il femminile fa di se stesso e del maschile.
3.1- Il Carattere Elementare definisce l’aspetto del femminile che, in quanto Uroboro=Grande Cerchio, tende a mantenere fermo tutto ciò che nasce da esso, circondandolo come di sostanza eterna (Cfr. Neuman op. cit).
E’ l’atteggiamento tipico del Matriarcato che, con la sua funzione materna determinante, protegge, nutre, riscalda, contiene, ma in senso negativo, perché rende la coscienza infantile, dipendente, inerte, attraverso il rifiuto e la privazione.
Evidenziamo che, il C.E. (sta per Carattere Elementare) possiede un aspetto buono e un aspetto cattivo (non nel senso dell’approccio Kleiniano) ed è la base della modalità conservatrice e immutabile del femminile che predomina nel materno.
Per farvi un esempio del C.E. positivo trovo che la figura del vaso vada a pennello.
Il vaso, rappresenta quella immagine femminile che contiene  e protegge, che nutre e genera, simbolo che la raffigura nella sua esistenza muta, appunto come un vaso, non divorante ma datore di ricchezza. E’ in sostanza simbolo del femminile che diventa creativo nel segreto e nel silenzio.
Nel suo aspetto negativo si manifesta, al contrario, nel simbolo dell’eroe che viene inghiottito dalle tenebre, dall’abisso o da un mostro. E’ l’irrompere della madre terribile divorante a cui corrisponde un contro-archetipo cioè quello dell’eroe che uccide il mostro  tagliando un pezzo del suo cuore e assimilando in sé la parte recisa, ampliando e rafforzando il suo IO cosciente.
Le immagini che svelano il C.E. negativo del femminile  di solito sono angoscianti: demoni, streghe, vampiri, zombi, fauci divoranti, caverne oscure che divorano e riprendono dentro di sé (Cfr. Neumann op. cit).
Esempi di questo femminile negativo è la Dea Kali, oscura divoratrice, signora incoronata di ossa. E’ la Gorgone Medusa dallo sguardo pietrificante, dalla chioma fatta di serpenti.

3.2 Il Carattere Trasformatore esprime un’altra costellazione psichica: la parte più dinamica che, a differenza della tendenza conservatrice del C.E., spinge al movimento e pertanto alla trasformazione. Questo è il Carattere Trasformatore ed è funzione del materno che nutre.
Il femminile ne fa esperienza in modo naturale nella gravidanza, nel rapporto con la crescita intrauterina del feto e con la nascita e ciò lo condurrà al culmine dei  misteri di trasformazione spirituale, legati al sangue e perciò all’esperienza della propria creatività (G. Marciano-Tesi di specializzazione:”archetipi del femminile, identificazione e incontro con l’uomo”- 1992).
Dunque, la donna è strumento di trasformazione tanto di se stessa che del bambino, del dentro e del fuori di sé.
Scendiamo più nello specifico, scopriamo questi misteri di trasformazione, Il Sangue Femminile.
Quanto segue è un elaborato tratto da un lavoro di ricerca di Giuseppina Marciano.
Tutto ciò che avviene nel corpo di una donna è un mistero; così era la mente pre-logica dell’uomo arcaico; ecco cosa ci dice Murciano.:
Il primo mistero di sangue femminile è la mestruazione, questa corrisponde al momento sacro della vita della donna che si trasforma da bambina in fanciulla, potenzialmente in grado di dare la vita.
Il secondo mistero è la gravidanza. In tempi antichi si riteneva che l’embrione fosse stato creato dal sangue della madre; in effetti per ben nove mesi il mestruo cessa per tutto il periodo.
Terzo mistero la nascita. Quando con la nascita avviene la trasformazione della donna in madre, emerge una nuova costellazione archetipica, che modifica intimamente e intensamente la vita del femminile attraverso la relazione con il bambino, legata alle funzioni del nutrire, del proteggere, del riscaldare, del mantenere sicuro. (E.Neumann La grande Madre, cit. in Giuseppina Murciano).
Quarto mistero la trasformazione del sangue in latte che troviamo alla base dei misteri primordiali della trasformazione del cibo.
(Anche nel rito dell’eucarestia troviamo in processo di trasformazione nel mistero del corpo e del sangue di Cristo corsivo mio ).
A proposito del carattere trasformatore del femminile non posso non introdurre, seppure velocemente (sarà argomento di altre lezioni), il discorso sull’Anima in senso junghiano.
Quando il maschile fa esperienza dell’aspetto trasformatore del femminile, ne resta suo malgrado influenzato in modo numinoso, ne rimane affascinato ma anche timoroso, stimolato alla trasformazione di sé.
L’uomo si sente  attirato e richiamato dal femminile abile nella trasformazione, perché, oltre all’archetipo della Grande Madre, gli si presenta l’opportunità di incontrare l’immagine dell’Anima.
Ora l’anima, come figura femminile interiore dell’uomo, dà impulso e spinge  alla trasformazione, incoraggia il maschile ad affrontare nuove avventure dello spirito, ad agire e a creare nel mondo sia esterno che in quello interiore.
Questo è un processo evolutivo che ha come aspetto simbolico, il rischio di morte; eh sì perché stiamo parlando di Grande Madre, di quella Grande Madre che non intende sottostare al distacco e alla perdita.
Va, inoltre detto che, l’Anima se pure è parzialmente ambivalente – è sempre legata all’uroboro materno -  si trasforma e trasforma, prepara per l’IO-eroe sempre nuove prove da affrontare e che sono proprie della relazione con il maschile; l’Anima è mediatrice tra il mondo della coscienza maschile e il mondo elementare dell’inconscio. La figura dell’Animus come guida della psiche esercita l’effetto corrispondente sul femminile.
Dunque l’Anima assume Carattere Trasformatore del femminile solo quando la donna diventa consapevole di questo suo potere e diventa capace di una relazione genuina con il partner.
Il carattere trasformatore del femminile è carattere di luce e saggezza, non è solo psichico, non è il mondo caotico e informe, oscuro, divorante e terribile; la coscienza femminile esposta ai processi inconsci è portatrice di rinascita spirituale.
La Grande Dea Era- aspetti di Psicologia femminile-

  1. Mito e Archetipo della Grande Madre
Premessa
Abbiamo già detto che gli archetipi creano relazioni tra loro: di opposizione o di reciprocità. L’energia degli archetipi si manifesta nelle esperienze vissute, nei modelli con cui ci si confronta, nella storia e nei miti.
Sono potenti modelli interni responsabili delle principali differenze che distinguono le donne fra loro e gli uomini fra loro. In ogni uomo e in ogni donna possono essere presenti più archetipi che accompagno l’individuo attraverso le diverse fasi della sua vita.
I miti, come suggerisce Neumann, vanno presi come strumenti di comprensione di aspetti psicologici dell’umanità. In “Amore e Psiche” l’autore citato, mette in risalto l’uso della Mitologia come mezzo per comprendere e per descrivere, ad esempio, la Psicologia femminile, è, in altre parole un formidabile potente strumento di comprensione profonda.
In generale, quando una persona, sia essa uomo o donna, viene a conoscenza che esiste una dimensione mitica in ciò che sta facendo , quella conoscenza è una specie di motore propulsore che spinge, stimola e, nello stesso tempo, ispira attivandoli centri profondamente creativi.  E una volta attivati….beh, non ci si ferma più; ci si trova ad acquisire una comprensione diversa, stupefacente, potenti di fatti, eventi, episodi della propria vita.
I Miti ci affascinano,  evocano sentimenti e immaginazione ed esplorano temi, motivi, che sono frammenti del patrimonio  umano collettivo.
Noi- cultura occidentale- ci rivolgiamo ai miti dell’antica Grecia dalla quale li ereditiamo pur introducendo qualche variazione, nondimeno, dopo migliaia di anni sono attualissimi e significativi perché contengono un anello di verità che accomuna l’esperienza umana collettiva e non solo sul piano personale. Anche quando non compreso, il mito lo ricordiamo, proprio come un sogno a forte impatto emozionale, esso va letto e compreso sul piano simbolico.
La Mitologia greca non conosce un Dio Creatore ma solo Teogonie. Come ci dice Esiodo, le teogonie sono storie che raccontano della nascita di divinità raggruppate e collegate. Sono storie che costituiscono epifanie in cui il mondo si presenta in aspetti divini e si costruisce su di essi. Il vero creatore del mondo è il Poeta (Omero, Orfeo) che attraverso la sua creazione costruisce il mondo in cui si vive; quindi noi parleremo di Fondazione e non di Creazione. No di un mondo puramente pensato ma di Ordinamento che in greco si dice Kosmos. La primordiale storia mitologica ci racconta di Unioni, separazioni, Nozze, Nascite Divine. Il mito va oltre il personale fornisce l’aspetto oggettivo presente nell’evento psichico ed è una forza agglutinante.
Prima dell’affermarsi delle religioni patriarcali, la paternità non era considerata importante, non era stata ancora introdotta una modalità di pensiero religioso perciò non esistevano divinità maschili.
Le invasioni di popoli indoeuropei avvenute tra il 6500-2500 a.C. porteranno alla detronizzazione della Grande Dea Madre, ma le divinità femminili non verranno completamente soppresse, al contrario saranno incorporate nelle religioni degli invasori. Ci troviamo quindi di fronte a forme di imposizione della cultura patriarcale, religione guerriera, e una Grande Dea Madre relegata al ruolo di consorte sottomessa i cui attributi e il cui potere sono incorporati dagli dei maschili. Per la prima volta nei miti compare la violenza, il rapimento, la dominazione.
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Era- Iuno = Giunone per i Romani

Estia, Demetra, Era, Artemide, Atena e Afrodite, sono le sei dee dell’Olimpo, a queste va aggiunta Persefone o Kore che è sempre associata a Demetra. J.S. Bolen divide queste Dee in tre gruppi: le Dee considerate Vulnerabili> Era, Demetra, Persefone; Dee Invulnerabili> Estia, Atena, Artemide; Afrodite fa parte di un altro gruppo in quanto accreditata come Dea Alchemica. In seguito vedremo le caratteristiche di ciascuna di esse.
Per ora accenno velocemente al perché Bolen ha inteso fare questa distinzione. Le tre dee vulnerabili rappresentano i ruoli tradizionali di moglie, madre, figlia. Sono archetipi di orientamento al rapporto, sono dee  la cui identità e il cui benessere dipendono dall'esistenza di un rapporto significativo, esprimono il bisogno di legame e di rapporto con l'altro.
Le dee vergini rappresentano le qualità femminili dell'indipendenza e dell'autosufficienza. Esprimono la capacità della donna di concentrarsi consapevolmente su quanto è significativo per lei in quanto persona autonoma.
Afrodite, dea dell'amore e della bellezza è considerata Alchemica perché è dea trasformativa e del cambiamento. Tutti gli dei dell'Olimpo sono soggetti al potere di Afrodite, tranne Atena, Artemide e Estia, le dee vergini. "Vergine", in senso psicologico, è la donna che non è stata “penetrata psicologicamente” è  autosufficiente, che sia moglie, madre, o meno; essa è "una donna che basta a se stessa".
Ma veniamo a trattare l’Archetipo di Era
Di solito il nome di Era/Hera viene fatto derivare dalla parola greca che significa “Signora”; potrebbe essere anche una variazione (nel mondo dei miti ne troviamo diverse) di Herwa che significa “protettrice”.
Figlia di Crono e di Rea, sorella e ultima sposa di Zeus divinità suprema dell’Olimpo che regnava sui cieli e sulla terra. Si racconta che Zeus abbia avuto almeno sette spose (ne parleremo quando studieremo l’Archetipo dell’Uomo-Zeus).
Alcuni studiosi ci dicono che il suo nome è la forma femminile della parola Heros. C’è chi dice che sia nata nell’isola di Samo, altri parlano di Argo come luogo della sua nascita. Maestosa, regale e splendida, era la dea del matrimonio.
Era fu inghiottita dal padre appena nata. Quando emerse dal corpo di Crono era già fanciulla e fu affidata alle cure di due divinità della natura. Divenuta bellissima, fu notata da Zeus, che, per avvicinarsi, si trasformò in un tenero e tremante uccellino. Lei si impietosì e, per riscaldarlo, se lo pose sul seno. Zeus abbandonò allora il travestimento, cercò di sedurla e di prenderla con la forza. Ma lei resistette finché lui non promise di sposarla. Quando finì la luna di miele, durata ben 300 anni, Zeus tornò alle sue abitudini promiscue. Tante e tante volte le fu infedele, suscitando la sua gelosia vendicatrice, che si rivolgeva sempre verso la rivale o verso i suoi figli, e mai contro il marito. Molte sono le storie che narrano di Era e della sua ira. Ma collera e vendetta non erano la sua unica reazione, a volte se ne andava, peregrinando fino ai confini della terra e del mare. Suoi figli furono Efesto e Ares, il mostro Tifeo, Ebe e Ilizia.
I poeti decantavano la sua bellezza, il suo “occhio bovino,” per indicare i suoi bellissimi occhi grandi. Nella leggenda che la riguarda si narra che le stagioni siano state le sue nutrici. Nella sede olimpica Era è la Dea-Sposa per antonomasia. I suoi simboli erano la mucca, la via lattea, il giglio, l'iridescente coda del pavone, simbolo della vigilanza che le era tipica.
Omero la definisce bisbetica e vendicativa, gelosa, litigiosa. Infatti nei miti classici appare come persecutrice terribile delle sue rivali in amore, non le interessava che fossero divine o mortali, si vendicava persino della prole nata dalle relazioni extra coniugali del suo divino e infedele consorte.
Zeus amava prendersi frequenti distrazioni assumendo sembianze diverse per sedurre dee, ninfe e comuni mortali.
Nei rituali le venivano dati tre appellativi, che corrispondevano ai tre stadi della vita della donna: a primavera la si onorava come Era Parthenos, la Fanciulla; in estate e in autunno la si celebrava come Era Teleia, la Perfetta, la Realizzata; e in inverno diventava Era -Chera, la Vedova.
Ora veniamo a vedere alcuni significati simbolici di alcuni suoi attributi:
Ø      Mucca Sacra: è l’immagine associata alla Grande Madre dispensatrice di nutrimento, calore, accoglienza;
Ø      Via Lattea: è una credenza precedente e si racconta che si è formata dal latte delle mammelle della Grande Dea Madre, Regina del Cielo;
Ø      Giglio: si racconta che alcune gocce del sacro latte sgorgate dal seno di Era fossero cadute sulla terra trasformandosi in stupendi fiori bianchi. Un’altra credenza pre-ellenica vedeva in ciò il potere autofecondante dei genitali femminili (cfr. par. 3.2. Carattere trasformatore);
Ø      Coda del Pavone:  i cento occhi del cane Argo sono stati trasferiti sulla coda del pavone: simbolo di vigilanza, attenzione tipica della Signora del Cielo, e della capacità di vedere-la profezia.
Questi simboli, così come i conflitti con il consorte, riflettono il potere che una volta aveva la Grande 
 Madre il cui culto era di molto anteriore a quello di Zeus.
Dea dell’anno vegetativo e dei Riti Lunari (ved. Il femminile perduto in Home page), veniva venerata anche come dea del calendario lunare e in questo caso associata a:
¨      Luna Crescente-Primavera-Fanciulla
¨      Luna Piena-Estate-Sposa
¨      Luna Calante-Tardo autunno-Vedova
E’ associata anche alla Dea etrusca Uni e alla romana Iuno.  Protettrice del matrimonio, del parto e della vita domestica. Madre di Ares, Efesto, Ebe, Ilizia e del mostro Tifeo.
Nell’iconografia Era è spesso rappresentata nelle vesti di matrona, maestosa, solenne e regale, il capo incoronato, dotata di uno scettro sormontato dal cuculo (a ricordare il tentativo di seduzione di Zeus), simbolo della primavera, e un melograno maturo nella mano, simbolo dell’unione del tardo autunno e morte dell’anno. L’epiteto di Era boopis= dagli occhi bovini (Omero, Inni sacri), sottolinea il suo legame con la terra, il mondo agricolo, la fertilità, la fecondità.
Come già detto, gelosia, furore e vendetta erano tratti caratteristici di Hera che non venivano mai indirizzati contro il marito bensì contro le rivali e i figli di queste avuti dalla relazione con Zeus.
Esempi:
1) Egina sedotta da Zeus, subì la vendetta di Hera che liberò un drago (simbolo femminile) che distrusse la popolazione;
2) Dioniso rischiò la vita quando Hera cercò di eliminarlo facendo impazzire i genitori adottivi;
3) Callisto venne trasformata in orsa per indurla a uccidere il figlioletto, ma Zeus intervenne e trasformò entrambi in costellazioni del cielo (O. Maggiore, O.Minore).
Zeus disonorava troppo spesso il matrimonio per lei sacro e indissolubile, sentendosi continuamente oltraggiata e offesa. I miti che la riguardano sono numerosi ma a noi interessa vedere ed esaminare gli aspetti psicologici e archetipali della Signora che vivono e agiscono nella donna.

L’Archetipo della donna Hera ci dice che come dea del matrimonio è riverita e oltraggiata, onorata e umiliata; è posseduta da una forza di potente intensità nella propria personalità sia nella gioia che nel dolore. Si evidenzia in particolare il primo elemento: forte desiderio del matrimonio che si traduce in bisogno di essere moglie a tutti i costi. La donna con questo archetipo dominante si sente incompleta senza un compagno. Ricerca il matrimonio come istituzione e ciò soddisfa il suo bisogno di Prestigio, Rispetto, Onorabilità perché è questo che rappresenta per lei l’Unione consacrata. Vuole essere riconosciuta come la “Signora……….”.
Il giorno delle nozze la donna Hera attraversa la navata della chiesa come una dea, bellissima e altera, rimanda immagini di Realizzazione e Completezza da fare invidia e da far desiderare alle donne presenti di essere al suo posto. Una volta sposata intende rimanere tale nella buona e nella cattiva sorte. La sofferenza la riversa sulle rivali diventando una furia; il vittimismo, le lamentele, l’abbattimento sono un gioco di prestigio mentale che fa sentire la donna Hera potente e non umiliata e rifiutata.
Ogni dea vive nella psiche della donna, tanto di ieri, a maggior ragione delle donne di oggi, rappresentano forze istintuali della Grande Madre che nei tempi si sono parcellizzate in tante figure di divinità femminili. Sono metafore dei vari aspetti dei conflitti interni di donne complesse e polivalenti.
Quando nella psiche femminile queste dee sono in competizione tra loro per il predominio, la donna deve decidere quale aspetto di sé esprimere e, soprattutto, quando. Se non lo fa si troverà sballottata da una parte all’altra.
Esiste una predisposizione innata, è vero, anche Freud parla di trasmissione transgenerazionale e trasmissione ereditaria (Freud S. Totem e Tabù), certo è che quando si viene al mondo ognuno di noi porta alcuni tratti di personalità: energia, volontà, calma, curiosità, capacità di stare soli, socievolezza ecc. che rispondono a certi archetipi di divinità piuttosto che ad altri.
Le aspettative della famiglia, poi, rinforzano alcune divinità femminili o maschili e ne reprimono altre.
Ad esempio, se i genitori si aspettano “una figlia tutta grazia e dolcezza,…..premieranno o rinforzeranno le qualità di Persefone e Demetra”(Bolen J. Ambiente familiare e le dee, in Le dee dentro la donna). Se si trovano una figlia che sa bene cosa vuole, che si aspetta di avere le stesse opportunità del fratello, allora può essere stigmatizzata come “bambina caparbia”, mentre in realtà sta cercando solo di esprimere il suo ostinato lato di Artemide.
L’opposizione della famiglia non modifica il modello innato, al contrario, farà sentire la ragazza (o il ragazzo) inadeguata e scontenta delle proprie caratteristiche e degli interessi che coltiva, percepirà il senso di inautenticità se finge di essere diversa da quella che è.
La donna attraversa diverse fasi nell’arco della sua vita, ognuna di queste fasi può essere sotto il dominio di una o più dee, ma si può verificare che uno stesso modello di dea governi fasi diverse.
Altri esempi:
da giovani le ragazze possono essere concentratissime sugli studi; come non vedere la polarizzazione di Artemide? E quando è necessario organizzare, pianificare il programma di studi,mettere in atto strategie, ecco arrivare in soccorso le capacità e le qualità di Atena; e se dopo la laurea si decide il matrimonio, sarà Hera a dominare la scena; quando nascono i figli Demetra sarà la dea che occupa la scena.
All’avvicinarsi della mezza età, avviene una svolta ed è possibile che gli archetipi che hanno dominato per 45 anni circa perdano di intensità lasciando spazio ad altre dee di emergere.
Ci siamo presi un piccolo spazio. Ora ritorniamo a Hera. La donna con un forte archetipo Hera, si sente incompleta senza un compagno, e il dolore per la mancanza di un compagno (marito) può essere una esperienza interna profonda che la ferisce, esattamente come il non avere figli lo è per la donna che desideri più di ogni altra cosa essere madre- archetipo Demetra.
Anche oggi che istruzione, mondo del lavoro, rivoluzione femminista, sono diventati importanti, la maggior parte delle donne non sfugge alla pressione esercitata dalle aspettative culturali di “sistemarsi e sposarsi”- non è solo una immagine vecchia degli anni addietro- non è solo retaggio di una cultura patriarcale ma un pressante desiderio di una cerimonia rituale che dia riconoscimento ufficiale allo status di coppia.
La donna Hera è una moglie fedele per anni e quando resta vedova resta tale; a questo tipo di donna piace fare del marito il centro della propria vita e tutti, ma proprio tutti sanno che lui viene prima di ogni altra cosa anche dei figli.
I genitori di Hera furono Crono e Rea (come abbiamo già detto), un padre privo di affetto (inghiottiva i figli), ossessionato dalla minaccia che uno di loro lo spodestasse, e una madre impotente e inadeguata che non riusciva a proteggerli. Se analizziamo questo noteremo che i due genitori forniscono un quadro assai negativo ed esasperato di un matrimonio patriarcale: l’uomo è un marito potente e dominatore che non sopporta la competitività dei figli; la donna è una moglie che non cura altri interessi, fa resistenza passiva, custodisce i segreti e ricorre all’inganno.
Nelle diverse versione che riguardano il mito di Hera, ce n’è una che ci dice che Hera ebbe due genitori adottivi e fu da questi allevata in una dimensione idilliaca, erano due divinità della natura.
Si evidenzia il tema della doppia coppia genitoriale o del doppio matrimonio. Spesso i bambini si creano nella fantasia l’immagine dell’adozione, una famiglia idealizzata, migliore di quella naturale di origine, così è possibile che la donna Hera rimanga attaccata questa immagine idealizzata che si è costruita e di cui va in cerca per uscire dalla situazione familiare “negativa”; in circostanze più felici, invece, vede nella stabilità del matrimonio dei genitori ciò che desidera per sé.
La donna Hera non sposata percepisce un vuoto interno e una mancanza che vengono ingigantiti dalla non-realizzazione dei suoi desideri. Il lavoro non le dà soddisfazione, non è una sua priorità, non le interessa il successo professionale, la vita sociale non è molto gratificante e frequenta solo persone singles, pronta ad allontanarsi quando raggiungerà il suo obiettivo: lei vuole un Marito, lui è il vero portatore della sua Realizzazione. Di solito è attratta da uomini che hanno competenza e successo caratteristiche definite dalla classe sociale di appartenenza o dalla propria famiglia; lo stato di felicità della donna Hera dipende dalla devozione del marito, dalla importanza che egli attribuisce al matrimonio e dal modo in cui la apprezza come moglie. Essendo però attratta da uomini di successo- va sottolineato che molti di questi uomini lo sono perchè si dedicano totalmente al lavoro – anche se il marito non la tradisce, può sentirsi ugualmente infelice. Non è propensa a chiedere il divorzio anche se maltrattata, umiliata, ingannata più e più volte, lei stoicamente resisterà. Non ha molto sviluppato l’istinto materno a meno che in lei non faccia capolino Demetra come archetipo abbastanza importante; non è spinta dal piacere di fare le cose con i figli a meno che non siano presenti in lei anche gli archetipi di Atena e di Artemide.
Se non riesce ad attivare questi archetipi, il legame madre-figlio potrebbe risultare fallimentare e i figli avvertiranno carenze affettive e di protezione.
Veniamo ad esaminare la mezza età e la vecchiaia della donna Hera.
La mezza età, che sia soddisfacente o meno, dipende soprattutto dal fatto che la donna sia sposata o no e con chi.  Stiamo parlando degli anni migliori se vive un matrimonio stabile con un uomo che abbia conseguito il suo successo personale. Se, al contrario, non si è sposata, o se si è divorziata, o se è rimasta vedova, è una donna infelice se non polarizza altri archetipi. Di solito la si sente lamentare di stanchezza, abbattimento, sentimenti e sensazioni che non sa gestire a pieno; di fronte a situazioni di crisi peggiora le cose con la sua possessività e la sua gelosia esasperante.
Se rimane vedova con la morte del marito, la donna Hera che non abbia sviluppati altri aspetti di sé passa facilmente dal lutto al depressione cronica sentendosi sola e alla deriva. Ciò è la conseguenza della limitatezza dell’atteggiamento e delle attività precedenti (molto scarse).
L’identificazione con Hera è vivere e identificarsi con il ruolo della moglie. Se non supera questi aspetti, rischia di rimanerne prigioniera.
Dr.ssa Donatella Steck
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